La mascherina, simbolo del nostro popolo imbavagliato e succube
SI'! Ce la meritiamo la mascherina. E’ il simbolo archetipico della nostra decadenza, della nostra sudditanza, non nei confronti di una pandemia più o meno pericolosa, ma nel senso dell’accettazione passiva di una serie sempre più ampia di gioghi, abusi e restrizioni umilianti.
La mascherina è la bandiera bianca di un popolo che ha rinunciato all’orgoglio e ai propri valori fondativi, che ha smesso di lottare per la Libertà, (una parola di cui, pure, si è riempito la bocca per 75 anni impiastricciandosene come un bambino goloso). E’ il distintivo di una gente che ha smesso di farsi valere, di reclamare diritti di base come casa, lavoro, sicurezza, asili, pensioni; la divisa di una nazione che non reagisce più perché è troppo faticoso alzarsi, anestetizzata com'è dalla pizza, dall’aperitivo e dalle serie tv.
Quel “dispositivo di protezione individuale” è il simbolo di resa di un Paese che sta accettando di essere dominato e comprato da entità sovranazionali ben più sveglie e agguerrite. La mascherina è l’atto di obbedienza all’Organizzazione Mortale della Sanità, quella sempre in prima fila per spingere aborto, contraccezione, genderismo e che, ormai, in nome “della nostra salute”, detta legge a tutti gli stati nazionali.
La mascherina impedisce di esprimersi, come ci è impedito di esprimerci in cabina elettorale … Ormai da quanti anni? Abbiamo un governo creato in laboratorio per neutralizzare un avversario politico, una maggioranza che, per una strana inversione, esprime la minoranza del Paese. Ma va tutto bene. (I cugini francesi, al posto nostro, avrebbero già dato fuoco a tutto).
La mascherina è un bavaglio, come quello che i social ci impongono decidendo loro cosa sia “odio” e “discriminazione”, qui censurando, lì sospendendo o annullando gli account delle persone, cancellando brutalmente le loro vite, i loro ricordi e il loro pensiero, tanto che fra poco se qualcuno scriverà: “Il risotto al finocchietto selvatico è squisito”, si vedrà deferito alla Suprema corte zuckerberghiana.
Non a caso, ora, un ddl come quello Zan-Scalfarotto, una follia da film di ambientazione post-atomica, sponsorizzato in modo inaudito perfino da Avvenire nel silenzio assordante di Bergoglio, ci imbavaglierà anche sulle più ovvie banalità della vita, dell’amore, della famiglia, sulle "devastanti" verità anatomico-funzionali del sesso, imponendo il lgbtismo come nuova ideologia. E bisognerà stare muti, pena la sospensione della patente, del diritto di voto, della possibilità di uscire la sera (non è uno scherzo). Non potremo più raccomandare ai nostri figli secondo quali regole morali dovranno condursi, né potremo dire loro che una famiglia “tradizionale” (dove ci si possa riprodurre gratis, senza rivolgersi a una clinica di dottor Frankestein) è la cosa più bella che si possa realizzare nella vita. Se si oserà dichiarare che non portiamo nostro figlio a vedere i cartoni Disney perché subdolamente manipolatori, con i loro personaggi in piume di struzzo, verremo spezzati come rami secchi. E nessuno, tranne gli ultimi veri cattolici e pochi giornali come Libero, protesta.
La mascherina, tecnicamente, impedisce di baciarsi, quel bacio così spontaneo e naturale che è l’unico modo, da un paio di milioni di anni, per manifestare lo slancio amoroso. Le istanze femministoidi del #metoo, propagandate da personaggi che limonano coi cani e fanno sesso con minorenni, ci porteranno a dover stilare una domanda in carta da bollo per approcciare una ragazza, oppure a una modulistica da seconda media: “Vuoi fare l’amore con me? Metti una croce sul sì/no”. E nessuno dice “bai”. Anzi, quel poco di chiacchiera che esce dalle mascherine viene catturato da una tecnologia sempre più invasiva volta a raccogliere i nostri dati (gli smartphone ascoltano persino le nostre conversazioni) e nessuno protesta. Va tutto bene perché tanto “non ho nulla da nascondere”, come se fossimo noi a decidere la natura di questo “nulla” e non chi ci spia.
La mascherina impedisce di cantare, tanto che il settore dell'Opera lirica, nostro unico vero orgoglio nazionale unanimemente riconosciuto nel mondo, viene continuamente oltraggiato, offeso da giornalisti-capre che scrivono “il tenore Maria Callas”, “il soprano Mario Del Monaco”, il “barone Scampia della Tosca”; un patrimonio immenso divulgato solo in pochi programmi tv, peraltro indecorosi, pieni di ridicole moine o di degradanti banalizzazioni. Un’arte assoluta sconciata nei teatri da regie liriche semi-pornografiche pagate milioni di euro, mentre i cantanti e i musicisti muoiono di fame e i Conservatori sfornano disoccupati. L’Opera? Del resto, nessuno la conosce perché la Tv di Stato, per fare quattrini (non basta il canone) deve mandare in onda le ciaccole in cucina piuttosto che l’Aida o il Rigoletto. Tutti zitti e mosca.
E, a proposito di canto, ricordiamo come sia stato permesso che il nostro Inno nazionale venisse eseguito da un americano che ha stonato, sbagliando le parole di Mameli e le note di Novaro e che, dopo quella oltraggiosa figura, si è intascato i 20.000 euro del cachet senza batter ciglio, mentre quei soldi avrebbero potuto essere divisi per un coro di almeno 20 nostri giovani cantanti d’opera che, almeno, sanno fare il loro mestiere: cantare un brano in pubblico senza andare nel pallone.
Se la cosa ha pure destato qualche polemica, pochissimi hanno protestato perché il cantante di cui sopra, non pago di aver deturpato "Fratelli d’Italia", lo ha anche siglato con un pugno chiuso finale e un grido rabbioso, “No justice, no peace”. A noi Italiani, capite? A noi, che abbiamo insegnato il Diritto al mondo, noi culla del Cattolicesimo, che per primo nella storia si è scagliato contro lo schiavismo, noi che dal Granducato di Toscana abbiamo abolito la pena di morte per primi nella storia. Noi che abbiamo Forze dell’Ordine talmente “sotto botta” che gli agenti non osano nemmeno tirare fuori la pistola per paura di essere messi sotto processo. E muti, pazientiamo, ben imbrigliati con i finimenti medicali verde-azzurri.
Dopo il bavaglio alla Patria, anche il bavaglio alla Fede. La mascherina impedisce - e non solo simbolicamente - di comunicarsi, ovvero di attingere alla più pura essenza della religione italiana, il Cattolicesimo, quello vero, non quello mondialista delle lavande dei piedi al primo che passa e del todos caballeros, con musulmani, ebrei, buddisti, santi, peccatori, tutti insieme appassionatamente nello stesso Paradiso di zucchero e marzapane.
Addio Comunione sacra, fatta in ginocchio, presa in bocca, con il chierichetto che ti tiene il piattino sotto il mento per non sprecare nemmeno una particella del Corpo transustanziato di Cristo. Una comunione come Dio comanda che ci è stata tolta da una Chiesa che addirittura abolisce gli inginocchiatoi nelle chiese privandoci di un gesto ancestrale, antichissimo, che compivano persino gli uomini del Neolitico di fronte ai loro primi dei. E la gran massa dei cattolici, ZITTA E MUTA, si sorbisce la Pachamama, paurose eresie e varie amenità sui dogmi basilari.
La mascherina impedisce di gridare, infatti, di alzare la voce per dire la Verità, la stessa che dovrebbe essere venerata da un mondo dell’informazione il quale, tranne poche eccezioni, si copre continuamente di ridicolo per i silenzi su questioni fondamentali e per le sue distorsioni della realtà.
La mascherina soffoca, come il soffocante clima imposto dal pensiero unico nel quale siamo immersi, quel conformismo censorio politicamente corretto per cui, se uno osa esprimere un’idea diversa, viene pestato mediaticamente, mobbizzato ed escluso dalla società.
La mascherina nasconde l’identità personale, quella stessa identità del nostro Paese massacrata da un’insensata esterofilia, dal provincialissimo e ubiquitario uso dell’inglese, contro il quale solo isolati linguisti protestano; identità in via di cancellazione grazie a un’immigrazione selvaggia, incoraggiata da vertici ecclesiastici e politici che si dichiarano ormai apertamente favorevoli all’utopia massonica del Nuovo Ordine Mondiale, con “diversamente italiani” che arrostiscono gatti alla stazione e ministri che, pur non essendo vicentini, ci raccomandano queste nuove usanze come futuro modus vivendi. Quella stessa identità storica che un blob protestatario di massa, rivoltatosi all’estero perfino contro la scimmietta dei Kellogg’s Coco Pops, in Italia conduce taluni a imbrattare le statue di generali ottocenteschi e di uomini illustri, cambiando i nomi alle strade.
La mascherina è il simbolo della malversazione e del dilettantismo dell’Amministrazione, degli sprechi, come evocano le torbide questioni, ancora irrisolte, riferite ai Dpi ordinati dalla Regione Lazio per 14 milioni spariti nel nulla. Ci spiega anche quanto siamo accecati nel ringraziare la Cina come “salvatrice”, perché ci manda un pacchetto di dispositivi medicali, dimenticando come il Covid sia nato a Wuhan e come il gigante capital-comunista stia letteralmente disintegrando la nostra economia, nel silenzio dei media e della politica.
Per non parlare di come quel rettangolino di tessuto sintetico costituisca una vera “risata sardinica” sulle nostre ipocrisie gretine, dato che, con il Covid, tutti sono ricorsi in massa, alla plastica, peraltro abbandonando ovunque guanti e mascherine. E l’ecologismo demagogico della ragazzina svedese è andato bellamente a farsi friggere.
Indossiamo la mascherina! QUESTA E' LA LEGGE. Dobbiamo farlo e lo faremo, ma - ancora per poco – ci togliamo il gusto di esprimere una delle ultime riflessioni critiche.
Mentre ci seghiamo le orecchie con i suoi elastici, e inaliamo la nostra stessa anidride carbonica, possiamo ancora tenere a mente cosa significhi questo orpello bluastro, che non possiede affatto quel meraviglioso azzurro profondo del nostro colore nazionale, ma il livido, ospedaliero verdognolo che ci ricorda tutti i giorni quanto il nostro popolo sia malato e imbavagliato.