De Magistris Catania
De Magistis Catania
Alla fine la richiesta di rinvio a giudizio è stata accolta: il 17 aprile Luigi De Magistris e Gioacchino Genchi finiranno alla sbarra. L'ex pm di Catanzaro, e attuale sindaco di Napoli, insieme al consulente informatico formato nei reparti speciali della Polizia, andranno di fronte alla seconda sezione del Tribunale di Roma per rispondere di concorso in abuso d'ufficio per le acquisizioni illecite di tabulati telefonici in uso a esponenti politici e perfino a membri di governo. Ieri il Gup Barbara Callari ha accolto le richieste dei pm della Capitale, ai quali era passato il caso aperto sull'inchiesta “Why not”, quell'indagine che nel 2006 aveva coinvolto moltissimi personaggi e che oggi si ritorce contro i due principali artefici. In particolare, secondo l'accusa, tra le utenze acquisite in modo illecito ci sono quelle dell'allora premier Romano Prodi, dell'ex ministro della Giustizia Clemente Mastella e di alcuni parlamentari come Francesco Rutelli e Giancarlo Pittelli. Per tutti loro andava richiesta la necessaria autorizzazione alla Camera di appartenenza, passaggio che il pm De Magistris aveva saltato con l'aiuto di Genchi. Inchiesta del 2006 - L'inchiesta puntava a svelare una gestione illecita di milioni di euro in finanziamenti pubblici sborsati dalla Regione Calabria, dallo Stato, dall'Unione europea. Un sodalizio, secondo l'allora pm De Magistris, formato da imprenditori, professionisti e pubblici amministratori. Le indagini di “Why not” divennero note nel settembre 2006, quando fu notificato un avviso di garanzia all'allora vice presidente della Regione Calabria, Nicola Adamo, e a sua moglie Enza Bruno Bossio. Per l'accusa i reati erano gravissimi: associazione a delinquere, abuso d'ufficio, truffa. Nel calderone finirono anche Prodi, in riferimento al suo periodo da europarlamentare, e l'allora Guardasigilli Mastella. Le loro posizioni furono archiviate già durante le indagini preliminari, ma l'iscrizione di Mastella nel registro degli indagati portò, nell'ottobre del 2007, all'avocazione dell'inchiesta da parte del procuratore generale facente funzioni di Catanzaro, Dolcino Favi, ed al successivo affidamento ad un pool di magistrati guidati da Enzo Jannelli, appena nominato procuratore generale. Un anno dopo, nel dicembre 2008, le indagini finirono al centro di uno scontro senza precedenti: i pm della procura di Salerno sequestrarono i fascicoli, per una loro indagine su un presunto complotto ai danni di De Magistris, che nel frattempo era stato trasferito a Napoli come giudice. La procura generale catanzarese, come risposto, controsequestrò gli atti. Lo scontro tra i due uffici coinvolse il Csm, che trasferì la maggior parte di coloro che firmarono gli atti della vicenda. Tra le conseguenze, ci fu l'apertura di un fascicolo di inchiesta a Roma, quello sui tabulati acquisiti illecitamente, e che ieri ha portato al rinvio a giudizio di chi aveva dato il via al valzer. Gli altri stralci si erano risolti in due filoni. La Procura generale, che pochi giorni dopo lo scontro con i pm salernitani chiuse le indagini per 106 persone, chiuse un processo davanti al gup con otto condanne e 34 assoluzioni e ne ha portato avanti un altro (ancora in corso) davanti al Tribunale di Catanzaro. Quest'ultimo a carico di politici ed amministratori regionali, tra i quali gli ex presidenti della Regione Calabria, Agazio Loiero, del centrosinistra, e Giuseppe Chiaravalloti, del centrodestra, ex assessori e consiglieri regionali e imprenditori, tra i quali Antonio Saladino, ex presidente della Compagnia delle Opere della Calabria, imputato principale. La reazione di Gigi - «Sono amareggiato per la decisione del Gup del Tribunale di Roma rispetto ad un procedimento in cui mi appare chiara l'incompetenza dell'autorità giudiziaria di Roma, così come è ancora più evidente l'infondatezza dei fatti», è il commento piccato del sindaco di Napoli. Luigi de Magistris aggiunge anche: «Non mi aspettavo questo rinvio a giudizio, perchè l'accusa rivoltami è quella di aver acquisito tabulati di parlamentari senza necessaria autorizzazione del Parlamento stesso: mai un pm potrebbe essere così ingenuo. Ritenevo e ritengo un dover costituzionale indagare nei confronti di tutti e anche nei confronti dei parlamentari e dei potenti. Mi auguro che la magistratura giudicante, nella sua autonomia e indipendenza, riconosca la correttezza del mio operato e l'infondatezza degli addebiti formulati dalla Procura di Roma». di Roberta Catania