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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Più che un decreto, quello approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri pare un decretino. Infatti, non solo non vi sono le uniche misure che servirebbero davvero a rilanciare il Paese, ossia la liberalizzazione del mercato del lavoro e la liberazione degli italiani dalle tasse e dalla burocrazia, ma la maggior parte dei provvedimenti annunciati nei giorni scorsi dalle fanfare governative come indispensabili per far tornare a crescere l'Italia è stata cancellata oppure ne è stata limitata l'efficacia. È il caso della riforma che avrebbe dovuto riguardare le farmacie. In base a quanto è filtrato, il decreto avrebbe provocato una vera rivoluzione fra i banchi dei medicinali, consentendo la vendita di prodotti per cui è prevista la prescrizione medica anche nei supermercati o in negozi specializzati. E, sempre secondo le anticipazioni, il numero di farmacie sarebbe stato aumentato di alcune migliaia, così da far lievitare pure la concorrenza sui prezzi. Ma a dar retta all'ultima versione del decreto, si scopre invece che nulla di tutto ciò accadrà. Pillole e  unguenti per cui serve  la ricetta medica continueranno a essere venduti  soltanto sui banconi delle farmacie, le quali, per altro, non aumenteranno di numero in quanto il governo ha demandato ogni decisione in materia alle Regioni, limitandosi in caso di inadempienza di queste ultime a prometter l'invio di un commissario. Cioè, il nulla. L'annacquamento del piano che ambiziosamente si prefigge lo sviluppo dell'Italia riguarda anche la separazione delle reti, sia quella ferroviaria che del gas. Invece di decidere ciò che aveva in animo, garantendo anche ad altri l'uso delle rotaie e dei tubi di distribuzione del metano, l'esecutivo ha preferito metter tutto nelle mani dell'Authority, ossia dell'istituzione che vigila sulla concorrenza. Un modo per scaricare la grana, ma soprattutto per allontanare nel tempo il problema. Così, prima di qualche anno non se ne verrà a capo e i risparmi per le famiglie saranno rinviati a data da destinarsi. Se il rilancio economico del Paese passa dall'eliminazione dei monopoli, ho dunque la sensazione che toccherà armarci di santa pazienza. Ai burocrati che vigilano sul mercato è stata passata anche la patata bollente delle licenze dei taxi, faccenda su cui il governo temeva di scottarsi. Invece di lasciare ai Comuni la decisione di aumentare il numero di auto pubbliche, Monti e compagni hanno stabilito che sarà sempre l'Authority a verificare la necessità di un maggior numero di tassisti. E a forza di correzioni, pure le tariffe professionali sono tornate in alto mare. In principio, allo scopo di aumentare la concorrenza, il decreto prevedeva l'abolizione dei tetti minimi e massimi per le parcelle di avvocati, architetti e ingegneri. Ma nella serata di ieri la determinazione appariva incerta, al punto che i ben informati davano la norma già per morta. Insomma, partito baldanzoso con l'intenzione di svecchiare professioni e servizi, l'esecutivo ha già ingranato la retromarcia. Più che il governo Monti, pare dunque il governo Retromonti, la cui unica manovra riuscita è stata di tassare gli italiani e di mandarli in pensione più tardi. A questo proposito viene da chiedersi perché il Pdl continui a sostenerlo. Quando fu nominato per volere di Napolitano, il presidente del Consiglio promise di tranquillizzare i mercati e di tirarci fuori dai guai. Tuttavia, a distanza di due mesi dal suo insediamento, stiamo peggio di prima. Lo spread continua a salire e scendere come sull'ottovolante, i tassi restano alti, le agenzie di rating ci declassano e per giunta siamo tutti più poveri a causa del salasso fiscale cui ci ha sottoposto l'esecutivo. Visto il risultato, a ciò che resta del centrodestra converrebbe mettersi d'accordo e chiedere che la parola sia restituita agli elettori, i quali sono gli unici a poter decidere del proprio destino. Avanti di questo passo, infatti, non solo non si risolveranno i problemi, ma c'è pure il rischio della scomparsa dei partiti. I quali, quando si voterà, non potranno dichiararsi estranei alle politiche del governo di panna montata: avendole votate ne dovranno rispondere. E  non sarà un titolo di merito.

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