L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Giovedì sera ho partecipato alla trasmissione che Corrado Formigli conduce su La7. Argomento: gli evasori e a seguire gli emolumenti della Casta. Niente di nuovo: il solito teatrino. Il parlamentare che perde le staffe, l'altro che gli risponde sui denti e così via per l'intera serata. Non ci sarebbe dunque nulla da dire, se non che durante il programma ho avuto la riprova di quanto gli onorevoli siano sordi alla sollecitazione a ridurre i costi della politica. Di fronte allo tsunami che si sta per abbattere sul Palazzo - una gigantesca onda di disgusto dell'opinione pubblica nei confronti di tutto ciò che ruota intorno a partiti e istituzioni - essi si affannano a discutere se la loro retribuzione sia o meno superiore a quella dei colleghi francesi o tedeschi. Per i rappresentanti del Parlamento tutto si riduce a una questione meramente contabile, a un confronto dei trattamenti fiscali e a una perequazione tra i benefit di cui godono i colleghi esteri e i loro. Difficile dire se si tratti di pura e semplice miopia o di un'astuta manovra per evitare di affrontare il centro del problema. Sta di fatto che deputati e senatori difendendo i loro stipendi paiono non capire che il tema non è costituito da quanto guadagnano. O meglio: esiste anche quello. Sedicimila euro è una cifra che pochi in Italia hanno mai visto tutta insieme e sapere che i rappresentanti del popolo prendono in un solo mese ciò che la maggioranza del popolo incassa in un anno non mette di buon umore. Però credo che l'irritazione profonda della gente derivi dal fatto che, oltre a ricevere lauti emolumenti, i politici testimoniano quotidianamente il loro fallimento. Mi spiego subito. A me interessa poco se l'onorevole guadagna più o meno di me. Ciò che mi preme è che sappia far funzionare il Paese. Se fosse in grado di esprimere un governo che riduca le tasse facendole pagare a tutti in misura equa e distribuendo servizi efficienti a tutti i cittadini, io sarei disposto a pagarlo il doppio di quanto prende ora. Il nodo è dunque se i rappresentati del popolo ci rappresentano bene o male. Se siano cioè in grado di fare ciò per cui sono stati eletti. Purtroppo, a giudicare dai risultati, ossia da quel che è accaduto negli ultimi anni, direi di no. Dunque, mille, diecimila o ventimila euro per me sono soldi buttati via, indipendentemente che siano più o meno rispetto a quelli che vengono corrisposti ai parlamentari di altri Paesi europei. C'è di più. L'altro ieri Libero ha documentato quali siano i costi delle istituzioni in Francia, Germania, Gran Bretagna e nel resto della Ue. Facendo una media, le Camere e le Presidenze della Repubblica, oppure le Corone laddove esiste la monarchia, non costano più di 500 milioni di euro. Da noi la cifra è più del triplo, ossia 1 miliardo e ottocento milioni, vale a dire 1,3 miliardi di troppo. Il dato, indipendentemente dallo stipendio dei parlamentari, è un monumento al fallimento della nostra classe politica. Spendere tre volte tanto per avere un Parlamento il quale produce leggi che non funzionano e che complicano la vita dei cittadini anziché facilitarla non può non produrre irritazione. Avere istituzioni che in oltre sessant'anni di vita sono cresciute a dismisura, divorando la ricchezza dei contribuenti e moltiplicando i costi - senza riuscire però a risolvere i problemi di questo Paese, ma anzi spesso aggravandoli - è la testimonianza di una bancarotta. La prova quotidiana che la classe politica, non riuscendo a incidere nemmeno sulle istituzioni che essa rappresenta, difficilmente riuscirà ad affrontare e risolvere i guai della nazione. È questo il nocciolo. Oggi che la crisi economica impone a tutti i Paesi occidentali una gestione rigorosa della cosa pubblica, balza agli occhi l'incapacità della nostra classe dirigente di saper affrontare i problemi. Dopo aver riempito Montecitorio di barbieri, valletti, reggicoda e lustrascarpe; moltiplicato uffici, auto, spese e norme, non essendo capaci di far dimagrire la bestia affamata che hanno creato, deputati, senatori e presidenti (del Consiglio e della Repubblica) danno quotidianamente dimostrazione del dissesto politico in cui siamo precipitati. Insomma, ciò che voglio dire è semplice. O i nostri parlamentari provano a smontare la macchina mostruosa che essi e i loro predecessori hanno creato in sessant'anni di Repubblica, o è meglio che si facciano da parte. Se ne hanno uno, tornino a fare il loro mestiere. Se non ce l'hanno cerchino di impararlo e lascino fare il proprio a chi ce l'ha. Come scriveva nel 1929 Luigi Einaudi, futuro capo dello Stato quando lo Stato era ancora una cosa seria: «Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi, i quali sono persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli nel procacciarsi il pane quotidiano. Troppo a lungo li abbiamo sopportati. I professori ritornino a insegnare, i consiglieri di Stato ai loro pareri, i militari ai loro reggimenti e, se passano i limiti d'età, si piglino il meritato riposo, gli avvocati non si impiccino di fare miscele di caffè o di comprare pelli o tonni. Ognuno ritorni al suo mestiere. (...) Coloro che lavorano sono stanchi di essere comandati dagli scribacchiatori di carte d'archivio». Soprattutto, sono stanchi di pagare. di Maurizio Belpietro