Cerca
Logo
Cerca
+

L'editoriale

default_image

di Maurizio Belpietro

Lucia Esposito
  • a
  • a
  • a

Mario Monti ha risposto a stretto giro di posta al nostro appello per un taglio della dotazione di Camera, Senato e Quirinale. Da sole le tre istituzioni si mangiano un miliardo e 300 milioni in più della media degli equivalenti palazzi europei. Ma nonostante il capo del governo stia chiedendo agli italiani di tirare la cinghia, ieri con un comunicato ufficiale se n'è lavato le mani. «Non esistono poteri sostitutivi», ha scritto nella nota, «la decisione spetta al Parlamento». In pratica, dopo aver promesso di ridurre i costi della Casta, il presidente del Consiglio sostiene di avere le mani legate, rinviando ogni intervento al buon cuore di deputati e senatori. I quali, come è a tutti noto, di rinunciare a parte dei propri emolumenti non hanno nessuna voglia. Del resto, come dar loro torto: hanno faticato tanto per guadagnarsi uno stipendio e ora non intendono mollarlo. Ma è proprio vero che il governo sia impossibilitato a intervenire sui costi degli organi costituzionali e che spetti dunque a Camera, Senato e Quirinale farlo? No, da quel che ci risulta non è scritto da nessuna parte che le istituzioni possano decidere di spendere a piene mani senza rendere conto a nessuno.  Si può convenire che deputati, senatori e presidente della Repubblica godano di autonomia per quanto riguarda la decisione di come spendere i soldi loro affidati. Tuttavia, tocca al Tesoro - e dunque a Monti - stabilire di quale dotazione finanziaria possa disporre ogni Palazzo. Del resto, come documentiamo all'interno, i trattamenti economici della Casta non sono regolati da un'apposita norma costituzionale, ma più semplicemente da una legge del 1948 (modificata diciassette anni dopo), la quale fissò per via ordinaria i compensi. Il dispositivo è del 9 agosto di sessantaquattro anni fa e porta la firma di Luigi Einaudi, Alcide De Gasperi, Ezio Vanoni, Giuseppe Pella e Giuseppe Grassi, ossia di alcuni tra i più noti padri della patria.  I quali stabilirono che l'indennità mensile per i membri del Parlamento non fosse superiore alle 65 mila lire dell'epoca, pari a 1.138 euro di oggi, cui aggiungersi un rimborso spese per ogni giorno delle sedute di Camera e Senato cui gli onorevoli avessero partecipato. Come si vede, siamo molto lontani dai 16 mila euro con cui oggi remuneriamo i nostri politici. Ma quelli erano tempi di sobrietà vera, nulla a che vedere con quella tarocca esibita oggi sulle pagine dei giornali che sostengono il governo.  Eppure l'urgenza di mettere mano al problema ci sarebbe. Infatti, nonostante le molte promesse apparse su vari organi di stampa, di tagli ai costi della politica non c'è neppure l'ombra. Per rendersene conto basta dare un'occhiata a uno studio appena predisposto dal Dipartimento delle politiche territoriali della Uil, in cui si dimostra che per il funzionamento degli organi dello Stato e delle Regioni paghiamo ogni anno 4,4 miliardi, cifra che ogni dodici mesi lievita. I soli enti istituzionali centrali nel bilancio di previsione costeranno 23 milioni in più, mentre la spesa delle Regioni cresce dello 0,4 per cento. Altro che risparmi, qui si spende. Secondo il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy, su un bilancio di un miliardo e 900 milioni, per Quirinale, Montecitorio, Palazzo Madama e Corte costituzionale sono previste economie per l'incredibile somma di 34 mila euro, lo 0,002 per cento rispetto al bilancio preventivo del 2011. Per quanto riguarda gli altri organismi della Casta, non c'è neppure il minimo sforzo di mostrare un contenimento delle spese. Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Cnel, Csm e Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia è previsto che costino complessivamente 533,5 milioni, lo 0,8 per cento in più dell'anno precedente. Il meglio però arriva con Palazzo Chigi, per il cui funzionamento si pensa di dover scucire 486 milioni di euro, il 2,7 in più di quanto messo a bilancio lo scorso anno. Lo studio della Uil mette sotto analisi anche i costi delle Regioni, documentando un incremento delle spese in molte di esse. In Umbria si tocca il record, sfiorando il 38 per cento. In Piemonte siamo al 14 per cento in più. In Puglia al 7 e via a scendere. In valore assoluto il maggior incremento lo si registra in Sicilia, dove grazie anche ai superstipendi concessi ai deputati dell'Assemblea regionale si toccano 162 milioni di costi crescenti. L'elenco delle maggiori spese è lungo e non vogliamo togliervi il piacere di leggerlo nelle pagine interne, sicuri che avrete un motivo in più per chiedere a gran voce che, se l'Italia deve fare sacrifici, i primi a farlo siano i rappresentanti dei partiti che l'hanno portata sull'orlo della bancarotta. Aggiungiamo solo un'ultima considerazione. Come abbiamo scritto, se il presidente del Consiglio lo desidera, può da subito tagliare i costi della politica chiudendo il rubinetto del Tesoro che li alimenta. Tuttavia, se non ha il coraggio di farlo perché teme la reazione della Casta, abbia almeno la forza di ridurre la spese di Palazzo Chigi. Quelle non competono a nessun altro che a lui. O troverà una scusa anche per evitarsi questa incombenza? di Maurizio Belpietro

Dai blog