L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Caro presidente Berlusconi, mi perdoni se la disturbo con una lettera aperta. So che da quando se ne è andato da Palazzo Chigi lei vorrebbe essere lasciato in pace. Dopo quello che ha visto negli ultimi tre anni, è difficile darle torto: gli agguati subiti e gli insulti ricevuti avrebbero fatto uscire di testa chiunque. Lei al contrario la testa l'ha conservata ben salda sulle spalle, accettando di uscire di scena nonostante avesse ancora la maggioranza. E adesso, fatto il bel gesto che la sinistra sollecitava dal giorno stesso in cui fu eletto, ha deciso di starsene alla finestra e godersi lo spettacolo. E che di spettacolo si tratti non c'è ombra di dubbio. Quando la cacciarono ci fu chi esultò in piazza, stappando champagne, ma a distanza di un mese la festa è già finita: nessuno più brinda ma molti piangono. Quello che doveva essere il governo del rigore e della crescita, l'esecutivo che avrebbe dovuto applicare alla lettera le riforme richiesteci dall'Europa, in realtà si è rivelato il governo delle tasse. Ogni giorno che passa gli italiani si rendono conto che i professori non si sono messi a tagliare le spese per far ripartire la locomotiva del Paese. Non hanno ridotto gli sprechi per aumentare le risorse. Semplicemente hanno fatto ciò che tutti i ministri del passato facevano quando c'era da recuperare un po' di soldi. Il governo dei fenomeni ha messo un po' di tasse sulla benzina, un altro po' sulle sigarette e poi se l'è presa con l'unico patrimonio che gli italiani posseggono, cioè la casa. In pratica, nonostante tanta scienza riunita in un solo gabinetto, Monti e compagni hanno fatto quanto avrebbe fatto Andreotti. La strada delle tasse era la più facile. Si fa in fretta a fare quadrare i conti con i soldi degli altri. Più difficile riuscirci eliminando i privilegi. All'inizio l'ex rettore della Bocconi ha provato ad applicare le teorie economiche apprese in tanti anni di studio, ma poi ha capito la lezione e si è piegato alle lobby e alle corporazioni, cedendo sui tagli e le liberalizzazioni. Lui che aveva cominciato snobbando i partiti e che aveva ignorato le richieste dei sindacati, convocandoli sulla porta di casa, alla fine ha dovuto genuflettersi. Via l'abolizione delle province, rinviate le decurtazioni alla casta, rimaneggiati i provvedimenti sugli ordini professionali e sospesi quelli riguardanti le licenze dei taxi. Alla fine, della manovra equa e rigorosa sono rimaste in piedi solo le tasse. E per giunta quelle a carico dei soliti noti, ovvero dei lavoratori dipendenti o delle persone per bene che ogni anno versano il loro tributo al fisco. Case, conti correnti, residenze estere regolarmente denunciate e su cui vengono pagate le tasse: tutto è stato saccheggiato. Gli italiani leali col fisco, tartassati; quelli che lo frodano, premiati. Già, perché come sanno anche i sassi, ma prima di questi gli ispettori dell'agenzia delle entrate, gli evasori non verseranno un euro. Altro che prelievo sugli scudati e divieto di pagare in contanti. Chi ha dei soldi in nero ha provveduto a farli sparire da mesi, prima che Monti si svegliasse. Dunque, quando lo Stato busserà a quattrini, non ci sarà nessuno a rispondere. O meglio, a rispondere saranno gli onesti. Quelli che non evadono e versano fino all'ultimo euro. Quelli che hanno già pagato e continueranno a farlo anche se con sempre meno voglia. Quelli che vorrebbero uno Stato efficiente e non sprecone. Quelli che pensano che le tasse devono essere eque e devono avere come contropartita un servizio da parte dello Stato. Dunque, caro presidente Berlusconi, a subire la manovra di Monti e compagni sarà gran parte di quel popolo che sognava una rivoluzione liberale. Il popolo che quasi vent'anni fa la accolse come un liberatore, come un uomo della Provvidenza che avrebbe cambiato per sempre le cose della Prima Repubblica. Se li ricorda gli slogan dell'epoca? Meno tasse per tutti, ognuno padrone in casa propria, non metteremo le mani nelle tasche degli italiani... L'elenco è lungo, ma credo possa bastare a capire che le parole d'ordine di allora contrastano con quelle di oggi. E qui sta il punto. Monti non l'ha eletto nessuno: è un nominato del capo dello Stato. Ma lei, caro presidente, lei come tutti gli altri parlamentari, siete stati votati da quel popolo che ora il governo tecnico vuole tosare. E qui arrivo alla ragione per cui ho deciso di scriverle una lettera aperta. Come può il Pdl votare una manovra che va contro tutti i principi che ha predicato per vent'anni? Come può lei avallare una stangata che colpisce il ceto medio, quello stesso ceto medio che in lei ha creduto e crede e che per ben due decenni l'ha premiata con il voto? Lo so, lei mi dirà che è fuori dai giochi e non ha la possibilità di intervenire. Che a decidere è Monti e poi c'è lo spread che incombe. Tutto vero. Però è altrettanto vero che votando questa manovra il Pdl non solo colpisce gran parte dei suoi elettori, ma colpisce se stesso. Crede davvero che gli stangati dimenticheranno o attribuiranno le colpe solo ai professori? La scelta ricadrà anche sul suo partito e rimediare non sarà facile. È per questo dunque che mi sono deciso a scriverle. Oggi la manovra arriva in aula. A differenza di quanto promesso, il governo porrà la fiducia, impedendo di fatto ogni cambiamento. Le misure dunque dovranno essere votate oppure no, senza nemmeno poterle discutere. Prendere o lasciare. Cioè nessuno si potrà opporre. Nessuno tranne lei. Ed è questo che le chiedo: voti no alla manovra. Si opponga e faccia opporre tutto il Pdl. Le misure per salvare il Paese e farlo tornare a crescere non sono queste. Così, al più, se ne affretta il decesso, deprimendo l'economia e affossando il Pil. Dica no. Lei è la nostra ultima speranza. di Maurizio Belpietro maurizio.belpietro@libero-news