L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Come i lettori sanno, per quanto ci riguarda al governo dei nominati ne avremmo preferito uno di eletti. E al posto di 33 partiti a far da padrini ne avremmo gradito uno solo che però facesse da padre. Persone più titolate di noi ci hanno spiegato che ragioni d'urgenza impedivano soluzioni di questo tipo, in quanto le urne non sarebbero state compatibili con le aspettative dei mercati finanziari. Una campagna elettorale mentre lo spread è ai massimi e la Borsa ai minimi ci avrebbe affossato: in attesa di avere un nuovo premier saremmo stati costretti a portare i libri in tribunale. Di fronte a queste perentorie affermazioni ci siamo inchinati, promettendo di valutare il ministero dei secchioni senza alcun pregiudizio, ma in base alle cose che sarebbero stati in grado di fare per sistemare l'Italia. Con questo spirito abbiamo dunque atteso il primo Consiglio dei ministri, aspettandoci decisioni rapide ed efficaci. E anche se dalle indiscrezioni quel che bolliva in pentola non ci piaceva, ci siamo imposti cautela. Magari la riforma delle pensioni non sarà così radicale come la vorremmo e il taglio degli sprechi meno deciso di quanto ci augureremmo, ma, ci siamo detti, si tratta dell'inizio. Sì, i tecnici invece di reperire risorse là dove se ne spendono in abbondanza vogliono fare ciò che fanno tutti i politici, cioè tassare, ma probabilmente è una misura d'emergenza, un'una tantum in stile Prodi, che poi i professori si impegneranno a rimborsare in comode rate nei prossimi anni. Insomma, per cercare di non apparire pregiudizialmente ostili in un momento difficile per il Paese, avevamo fatto appello alle ragioni della solidarietà. Invece, mentre noi eravamo preparati a valutare con occhio, se non benevolo, almeno responsabile le nuove misure, il nuovo governo Monti che ti va a inventare? Anzichè toccare le pensioni, le regole del mercato del lavoro e gli sprechi della pubblica amministrazione, cosa fa quel diavolo di un ex rettore prestato alla politica? Altro che nuova Ici o patrimoniale come temevamo. Quel geniaccio di un professore dall'aria seria e un po' noiosa riunisce per la prima volta il suo gabinetto di guerra e decide di sbloccare i fondi per Roma capitale. Sì, avete letto bene. Mentre la Borsa precipitava quasi del cinque per cento e i titoli di Stato tornavano a svettare a 500 punti sui famosi Bund tedeschi, al posto di varare misure draconiane per il contenimento della spesa e per ridurre il debito pubblico, il nuovo presidente del Consiglio si occupava di dare esecuzione alla legge che attribuisce più poteri - e dunque più fondi - alla città eterna. Attenzione: qui qualcuno potrebbe pensare che è la solita polemica leghista contro Roma. No, non abbiamo nulla contro la capitale, che è una delle più belle del mondo, anzi la più bella. E probabilmente ha ragione il suo sindaco, il quale alla notizia del primo provvedimento del governo tecnico ha brindato a spumante (speriamo italiano, in nome dell'austerity). Gianni Alemanno dice che il decreto era atteso da trent'anni e finalmente si è colmata una lacuna, equiparando la città alle altre che sono sedi di governo. Ma dato che l'attesa si era prolungata per sei lustri, era proprio indispensabile dare esecuzione alla decisione mentre il Paese intero è con il fiato sospeso per la crisi finanziaria? Mi domando: il decreto era la priorità di questo Paese, più della riforma delle pensioni, più delle modifiche all'articolo 18? È per questo che il presidente della Repubblica ci ha imposto in tutta fretta un nuovo esecutivo? Ma come si fa a non capire che, mentre si chiede agli italiani di tirare la cinghia e di prepararsi a sacrifici, non è opportuno dare via libera a un decreto che attribuisce nuovi poteri, anche di spesa, alla capitale? Ma soprattutto: cosa c'è di tecnico e di urgente nel provvedimento varato ieri? Sappiamo che il nuovo governo si è imposto il riserbo e dunque è finito il carnevale delle interviste quotidiane dei ministri. Ma qui urge una risposta che faccia chiarezza. Non vorremmo infatti dover pensar male. E sospettare che l'emergenza sia stata una scusa per far sloggiare un certo signore e sostituirlo con uno un po' più gradito. Non agli elettori, ma a chi, pur non avendo i loro voti, vuole comandare. di Maurizio Belpietro