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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Come avevamo previsto, Silvio Berlusconi ancora una volta si è sottratto all'agguato che l'opposizione gli aveva teso con l'intenzione di farlo cadere. Dopo l'incidente della mancata approvazione del rendiconto dello Stato, tutto era pronto per costringerlo a salire al Quirinale a rassegnare le dimissioni. Bersani, Di Pietro, Fini e Casini erano certi di aver convinto un numero sufficiente di deputati in dubbio. Il leader dell'Udc, giovedì sera, aveva addirittura avvisato i peones del centrodestra che l'unico modo per salvarsi il vitalizio (che come è noto è argomento cui gli onorevoli sono sensibili in quanto non scatterebbe qualora la legislatura finisse in anticipo) era di far cadere ora il Cavaliere, per poi dare vita a un governo di solidarietà nazionale. All'ultimo, quando già si capiva che l'imboscata stava fallendo,  la sinistra ha provato a sabotare la maggioranza, facendo mancare il numero legale pur di non consentire che si votasse la fiducia. Ma a dispetto di tutti i pronostici e dei molti tentativi di comprare i parlamentari del Pdl (le offerte di poltrone non sono un'esclusiva del centrodestra), pidiellini e leghisti hanno votato compatti. Per l'ennesima volta, dunque, è stato sconfitto il tentativo di snaturare il voto del 2008, portando a Palazzo Chigi non chi fu scelto dagli italiani, ma qualcuno calato dall'alto, cioè dalle segreterie dei partiti che hanno perso le elezioni. Con la scusa dell'interesse del Paese, l'opposizione in realtà vuole solo cercare di sedersi nella stanza dei bottoni senza passare dalle urne. Però anche stavolta Berlusconi ha respinto l'assalto, rispettando il mandato popolare. Come ha coraggiosamente riconosciuto Napolitano, il premier dopo la bocciatura del rendiconto dello Stato non aveva alcun obbligo di dimettersi e dunque la richiesta di farsi da parte non solo era illegittima, ma era pure la peggior propaganda. Tuttavia, dopo aver riconosciuto il successo anche personale di Berlusconi, non possiamo ignorare che per il governo e l'attuale maggioranza la situazione rimanga grave. Per quanto il voto di ieri abbia dimostrato quanto già sapevamo, ossia che il premier è un osso duro e non è facile costringerlo alla resa, la vita del governo resta appesa a un filo. I 316 voti ottenuti  ieri, precettando ministri e sottosegretari, difficilmente saranno ripetibili durante le giornate di routine. Non solo perché molti parlamentari disertano abitualmente l'aula, ma anche in quanto chi ha incarichi di governo è impegnato altrove. Dunque per il centrodestra non sarà agevole mandare avanti le leggi che Berlusconi si prefiggeva di approvare nell'ultimo scorcio di legislatura. Infatti, la norma sulle intercettazioni è già stata accantonata e probabilmente non sarà ripescata nei prossimi mesi. Stessa fine crediamo sarà riservata alla riforma della giustizia e ad altri provvedimenti che richiederebbero una maggioranza blindata. Per evitare trappole, il presidente del Consiglio eviterà voti cruciali, nella speranza di riuscire a superare il Natale.  Che, come abbiamo già spiegato, è la data che fa da spartiacque tra ribaltone ed elezioni. Liquidare il Cavaliere prima delle feste di fine anno aprirebbe la strada a un governo dell'inciucio, con un traditore del mandato popolare qualsiasi al posto di Berlusconi. Buttarlo giù dopo i brindisi del cenone significa invece andare dritti alle elezioni, con il Cavaliere ancora a Palazzo Chigi. Tuttavia, pur comprendendo le preoccupazioni del premier e apprezzando la tenacia con cui si sottrae alle trappole, non si può tacere che evitando i voti pericolosi si rischia di paralizzare l'attività di governo, rinunciando ad approvare misure da tempo annunciate. Passi per la giustizia, che ormai non si può che dare per morta. Però, sui temi dello sviluppo e dei tagli alle spese pazze, restare immobili sarebbe un errore. Non soltanto perché la generale situazione delle finanze pubbliche e dell'economia nazionale lo richiede, ma anche in quanto senza decisioni a favore della crescita difficilmente il già risicato consenso del premier rimarrebbe invariato. La crisi gli verrebbe interamente addebitata, più di quanto non si faccia ora, e ciò nuocerebbe ancor di più non solo alla popolarità del Cavaliere, ma a quella dell'intero centrodestra. Dunque, il presidente del Consiglio non può limitarsi a giocare in difesa, evitando le sfide impegnative o rischiose. C'è bisogno di qualcosa che faccia uscire lui, il Pdl e la Lega dal bunker in cui si sono ficcati. È un obbligo che egli ha nei confronti di quanti lo hanno votato e hanno creduto nel suo progetto di cambiamento del Paese. Non può lasciare che la sua storia e quella del suo movimento siano liquidate e cancellate dal ricordo delle ultime inchieste giudiziarie, tra un Tarantini e un Lavitola, una Patrizia D'Addario  e le notti del Bunga bunga. Ci ripetiamo: serve un colpo. Se non di genio, almeno di buon senso.

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