L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Da qualche giorno si discute su chi debba prendere il posto di Silvio Berlusconi il giorno in cui questi fosse costretto a fare un passo indietro. Il primo ad aprire bocca sul tema è stato Roberto Formigoni, il sempre verde governatore della Lombardia, un uomo vicino a Comunione e Liberazione più volte indicato come probabile successore del Cavaliere. Dopo di lui ha parlato Gianni Alemanno, il sindaco di Roma che nel Pdl rappresenta una delle anime provenienti dal vecchio Msi. Dibattito interessante, quello inaugurato dentro il centrodestra, che dimostra come i partiti che lo compongono siano meno imbalsamati di quanto si creda. Prima di discutere su chi debba essere l'erede politico del presidente del Consiglio, però, sarebbe più utile stabilire se vi sia un'eredità e di che si tratti. Altrimenti, come succede in certe famiglie, si corre il rischio di accapigliarsi sul nulla, litigando per un lascito che non c'é. Attenzione: non intediamo dire che la stagione di Berlusconi si concluderà (quando si concluderà) senza lasciare il segno. Semmai si tratta di stabilire di che tipo di segno si tratta. Ci spieghiamo meglio. Ogni tanto, considerando la crisi di consenso in cui versa la maggioranza, c'è chi suggerisce di invertire la tendenza ritornando allo spirito del 1994. Nella sostanza il governo dovrebbe ripartire da un programma di ben 17 anni fa, quello con cui Berlusconi si presentò agli italiani chiedendone il voto. Ma in cosa consiste quello spirito e che cosa fu promesso agli elettori? Certo qualcosa di molto diverso da ciò che è stato messo in pratica nel corso degli anni in cui il Cavaliere ha governato. Tasse, snellimento della burocrazia, riduzione degli sprechi. Non entro nel merito delle cause per cui quell'impegno non è stato mantenuto - che sono molte e non tutte riconducibili a lui, bensì frutto delle resistenze di lobby e apparati dello Stato - ma la Rivoluzione liberale che il patron di Fininvest aveva in testa quando si buttò in politica non c'è stata. Oggi si può recuperare quel programma politico e attuarlo? Probabilmente sì, ma visto come sono andate le cose, forse è meglio rinfrescarne i contenuti e, soprattutto, la memoria. Cosa deve essere il centrodestra e quali principi incarnare? Dopo il crollo dell'economia e la crisi che ha colpito l'Europa, è ancora possibile un piano di riforme liberali e da quali è opportuno partire? Prima la riduzione delle tasse o quella dei costi dello Stato? Si deve metter mano alla giustizia o alle ingiustizie che hanno creato aree parassitarie che campano sulle spalle degli italiani? Ma soprattutto converrà chiedersi se dopo Silvio sia ancora praticabile una rivoluzione liberale o, piuttosto, non convenga mettersi l'anima in pace, accettando la vittoria degli interessi particolari su quelli collettivi. Insomma, a noi pare che prima della discussione su chi verrà dopo Berlusconi, sia il caso di chiedersi se ci sarà un dopo Berlusconi per il centrodestra e che tipo di centrodestra sarà, se populista o liberale, venato d'un po' di socialismo alla Tremonti o di un rigorismo spinto tipo quello sostenuto da Antonio Martino. È per questo che ci rivolgiamo ai lettori più che ai professionisti della politica. Dite la vostra sul futuro dell'alleanza fra Pdl e Lega, indipendentemente da chi ne è o sarà alla guida. Fate sentire la vostra voce. Prima che qualche apprendista stregone si candidi alla leadership moderata di questo Paese, stabilite voi che leadership volete. Di nostro ci mettiamo dieci punti. Un piano con dieci idee per rifondare il centrodestra. Un modo per contribuire al dibattito. Ma perché questa sia una discussione seria, servono i vostri interventi. Crediamo infatti che solo così, partendo dalla base, si possa costituire una leadership. Dunque, cari lettori, fatevi sentire. Sul sito o sulle pagine di Libero. Noi registreremo puntualmente ogni voce di questo dibattito.