L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Del ministro dell'economia siamo segreti estimatori. Di lui ci piace l'aria di primo della classe, quello stile da professorino sempre pronto a dare lezioni agli altri. Durante i dibattiti in tv, Giulio non fa il minimo sforzo per mascherare il suo complesso di superiorità. Anzi, in qualche occasione pare addirittura ostentarlo. La sua arroganza intellettuale è così manifesta, che ormai è un segno distintivo del suo modo di comportarsi. Ma non è solo per questo che stimiamo il titolare di via XX Settembre. Pur avendo con lui ogni tanto incrociato la spada e polemizzato, in qualche modo gli riconosciamo il merito di aver tenuto in ordine i conti pubblici. Dal 2001 ad oggi, Tremonti ha dovuto affrontare le congiunture economiche peggiori. Prima la crisi determinata dal crollo delle Twin towers, poi la caduta dei signori della finanza, infine la tempesta che si è abbattuta sull'euro. Tener duro non dev'essere stato facile. Eppure Giulio ce l'ha fatta ed è riuscito a evitare che il debito dello stato schizzasse all'insù. Non so come ci sia riuscito, se con la finanza creativa come dice Scalfari o con l'abilità accumulata negli anni facendo il commercialista. Sta di fatto che nonostante le avversità è riuscito a rispettare tutti i diktat dell'Europa, evitando che questa ci declassasse. Di ciò naturalmente siamo grati al ministro e in più occasioni gliene abbiamo dato prova, difendendolo da chi ne chiedeva le dimissioni. Attacchi ingiustificati, frutto più di gelosie e risentimento che di ragionamento politico. Ciò detto, dobbiamo però riconoscere che ultimamente il nostro giudizio sul ministro è mutato. Non si tratta, come qualcuno potrebbe pensare, del caso Milanese. Nella questione del suo consigliere politico, il deputato pidiellino di cui è stato chiesto l'arresto, Giulio ha poco da rimproverarsi. Al massimo d'essere stato imprudente nell'accompagnarsi a un soggetto criticabile. Nulla di più. No, il suo ex braccio destro non c'entra. Semmai in discussione è la sua incapacità di reagire e adeguarsi agli eventi. Che sia di fronte a uno scandalo in cui è colpito uno dei suoi più stretti collaboratori o a una tempesta finanziaria che rischia di mandarci gambe all'aria, Tremonti reagisce sempre allo stesso modo. Ossia rimanendo immobile e muto, quasi non sapesse che fare. Nella peggiore delle condizioni, il ministro non c'è, non agisce. Sta zitto o al massimo si limita a un laconico comunicato o a una lezione sui filosofi del passato. È successo con Milanese, si è ripetuto nei giorni della finanziaria. Invece di rassicurare i mercati e gli imprenditori, il capo dell'economia ha tenuto una lezione dotta, ricca di citazioni. Per questo, mentre fino a ieri pensavamo che la presenza del ministro in via XX Settembre fosse per noi una garanzia, ultimamente cominciamo a domandarci se non sia un problema. La riflessione non è dettata solo dai contrasti di questi giorni con una quota piuttosto significativa di esponenti della Lega e del Pdl. Che ci sia nella maggioranza qualcuno che non lo ama poiché ha tenuto troppo stretti i cordoni della borsa lo riteniamo fisiologico. Che poi il presidente del Consiglio lo veda come una spina nel fianco, considerandolo dopo l'uscita di Fini l'unico vero concorrente dentro il suo partito, è anch'esso scontato. Il problema però è che Tremonti non ha contro solo metà Carroccio e tre quarti del Popolo della Libertà con l'aggiunta del premier. Il ministro è visto come il fumo negli occhi da un certo numero di banchieri, per non dire degli industriali, i quali lo reputano il vero responsabile dei mancati interventi a favore della crescita. Come se non bastasse, in questi anni si è messo contro pure il governatore della Banca d'Italia. Forse temendo una sua discesa in campo, Giulio ha cercato in tutti i modi di sminuire l'autorevolezza di Mario Draghi, ma oggi colui che considerava il suo nemico numero uno è alla guida della Bce, ossia dell'organismo che deve comprare i titoli italiani per fermare la speculazione. Nonostante in questi anni non si fosse fatto mancare alcun nemico, fino a ieri il capo dell'economia poteva però sfidare tutti sostenendo di essere il garante del rigore. L'uomo che poteva rassicurare i mercati e orientare l'Europa in favore dell'Italia. Nei momenti di maggior tensione, poteva così guardare in faccia beffardo gli accusatori, sfidandoli a chiederne le dimissioni. Prova a cacciarmi, diceva a Berlusconi, e vedrai che succede. Le ultime settimane hanno però dimostrato che, se mai è esistito, questo suo potere non funziona più. Tremonti non è la polizza di assicurazione sulla vita di questo governo e neppure dell'Italia. È un ministro bravo e competente, che però si è isolato e arroccato nelle sue convinzioni. La sua testardaggine nel difendere una manovra tutta di tasse senza alcuna liberalizzazione o cessione di patrimonio pubblico che pure erano possibili ne sono la dimostrazione. Di qui la domanda: ma Tremonti è ancora il ministro dell'Economia di cui questo paese ha bisogno? La crisi, le liti, i troppi nemici che si è fatto non lo hanno reso un problema invece di quello che doveva essere, ovvero la soluzione dei problemi?