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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Giampaolo Pansa lo scrive da oltre un anno:  attenti che qui ci scappa il morto.  Per questo motivo, su Libero, invita la sinistra a tenere a freno le parole, moderando i toni. Essendo il più esperto di  tutti noi, ha capito che la piega presa è pericolosa e si rischia di farsi del male. Ma invece di ascoltare ciò che suggerisce un collega di valore, testimone degli anni di piombo e per nulla berlusconiano, rallentando la dose di insulti, minacce e oscuri presagi, l'opposizione accelera. Anzi, ci mette il carico della drammatizzazione dello scontro. «Nel Paese sta sbocciando una rivolta sociale», ha esultato ieri Antonio Di Pietro, il quale subito dopo ha svelato l'obiettivo dell'insurrezione popolare: mandare a casa questo governo in fretta, prima che ci scappi il morto. Quasi che le vittime siano inevitabili se Berlusconi resta a Palazzo Chigi. Benzina sul fuoco nel giorno in cui Panorama rivela il contenuto di un rapporto dell'antiterrorismo. Nella relazione si segnalano strani movimenti in vista dello sciopero dei dipendenti pubblici del 15 ottobre. Il sospetto è che ci sia chi vuole scatenare tumulti di piazza nella Capitale. Non che le vie di Roma siano state in passato esenti da battaglie urbane: l'ultima risale a pochi mesi fa. Ma questa volta si tratterebbe di una vera e propria guerriglia, qualcosa di eccezionale, capace di scuotere il Paese dalle fondamenta. L'obiettivo è il solito, buttar giù una maggioranza legittimamente scelta dagli italiani, per sostituirla con qualche pateracchio deciso a tavolino dai burattinai della Repubblica: una lobby politico-giudiziaria e affaristica che in questa nazione ha sempre cercato di fare e disfare gli esecutivi. Che si cerchi di cacciare con i moti di popolo il governo non è cosa nuova.  C'è chi ci ha provato nel passato  e chi lo auspica da tempo. Tra questi il già citato leader dell'Italia dei valori,  il quale da almeno tre anni lancia allarmi di possibili scontri, quasi che li ritenesse un'arma inevitabile per liquidare Berlusconi. «C'è un clima da scontro di piazza, il governo è sordo alle richieste dei cittadini e se non si assume responsabilità ci potrebbe scappare un'azione violenta», disse nel 2009, aggiungendo, in risposta a chi lo accusava di sobillare le masse, del «rischio concreto che milioni di cittadini esasperati facciano saltare il banco».  Qualche tempo dopo, per non smentirsi, si spinse addirittura a ipotizzare il ritorno delle Brigate rosse, annunciando che l'autunno sarebbe stato caldo e che il suo partito sarebbe stato nei consigli di fabbrica e nelle piazze in difesa dei cassintegrati e dei lavoratori. L'idea è sempre quella, ripetuta ossessivamente. Grandi manifestazioni popolari. Milioni di persone in piazza. Una protesta che fermi il Paese. Tanto forte da ribaltare il governo. Niente di nuovo rispetto a ciò cui abbiamo assistito negli anni Settanta. Ma neppure nulla di molto diverso dalle strategie messe in atto dal 2001 in poi, cioè da quando il centrodestra è a Palazzo Chigi. L'unica diversità forse sta nel clima. Finora le proteste e gli appelli alla rivolta cadevano su un'Italia relativamente tranquilla e con la pancia piena. Difficile trasformare in rivoluzionario chi sta in pantofole e si gode il meritato riposo dopo un giorno di lavoro. Ma se la pancia è un po' meno piena e le serate meno serene perché si rischia il posto, gli inni alla ribellione potrebbero attecchire.  Insomma, le frasi del tribuno di Mani pulite ci preoccuperebbero poco se non ci fossero la crisi economica e una certa inquietudine per il futuro di molti. Le parole non c'azzeccherebbero nulla. Però con la crisi, la musica cambia e si fa più suadente. Tra antagonisti, attivisti e professionisti della piazza, di teste calde a piede libero ce n'è un discreto numero e qualcuno che se la faccia scaldare ancora di più dai discorsi di Tonino e compagni si rischia di trovarlo. E pure senza fare troppa fatica. Insomma, il pericolo che davvero ci scappi il morto c'è. Anzi forse qualcuno lo ha pure messo in conto. Quasi che fosse un tributo da pagare per cacciare il Cavaliere. Una vittima in cambio della caduta di Berlusconi.  Un calcolo cinico, vero? Sì, ma purtroppo anche drammaticamente reale.

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