L'editoriale
di Maurizio Belpietro
L'ultima accusa che ci è piovuta addosso - fra le tante che ci vengono quotidianamente rivolte - è di essere egoisti. Anzi: di non avere a cuore l'interesse nazionale e di non essere disposti a fare sacrifici per il nostro Paese. In maniera velenosa si cerca di ridurre la campagna contro il contributo di solidarietà imposto dalla manovra a una faccenda di tornaconto personale, anzi a una banale questione di portafoglio. Chi ha di più deve concorrere secondo le proprie possibilità al risanamento dell'Italia, argomentano i nuovi difensori dell'interesse nazionale. Se non lo fa è perché è gretto, pensa solo ai propri affari e non vuole aiutare la patria in un momento di difficoltà. L'accusa non solo è spregevole, ma falsa. Essa si basa infatti su un presupposto che non corrisponde al vero, e cioè che il contributo di solidarietà (ma sarebbe ora di chiamarlo con il nome giusto, cioè tassa) serva a riequilibrare i conti e impedire che il Paese vada in bancarotta. Come hanno spiegato diffusamente numerosi economisti, ultimo dei quali Alberto Alesina sul Corriere della sera di ieri, l'imposta sui redditi alti offre solo l'illusoria convinzione di aver risolto il problema. In realtà si tratta di un sistema per tappare momentaneamente la falla, rinviando la soluzione della tenuta dei conti a tempi futuri. Un anno, due o forse più: nessuno lo può dire. Di sicuro c'è che il governo di centrodestra sta facendo esattamente quanto hanno sempre fatto i governi passati: prende tempo e per non fare scelte coraggiose preferisce quelle comode, evitando di affrontare il nodo della spesa statale. Come si è accumulato uno dei debiti pubblici più spaventosamente elevati che ci sia al mondo? Proprio nel modo in cui sta procedendo il governo. Invece di riconoscere che un Paese è come una famiglia e se spende troppo deve ridurre le uscite, l'esecutivo continua a finanziare le proprie ricorrendo ad espedienti, ovvero a nuove tasse. I ministri più onesti e provveduti ne sono a conoscenza e sanno che la spesa di alcune Regioni del Sud è insostenibile. Così come lo sono gli ospedali che non servono a curare ma a garantire stipendi. O i lavori socialmente inutili, le municipalizzate create dalla megalomania di alcuni enti locali e i molti milioni versati ai sindacati. Tagliare queste spese - meglio sarebbe chiamarli sprechi - richiede però la forza di affrontare gruppi o lobby organizzate che vi si oppongono. Mettendo in conto rumorose contestazioni e una rottura della pace sociale. In questo momento il governo non se la sente o per lo meno ritiene di non averne la forza: proprio come hanno fatto molti esecutivi della prima Repubblica. In tal modo, perpetuando l'intervento pubblico per consentire l'occupazione là dove non c'è, continuando a sostenere un welfare che non è più sostenibile e concedendo sussidi a un'industria che non ce la fa a stare sul mercato, non si salva l'Italia: la si affonda. E per evitarlo non servirà aumentare le tasse sul ceto medio. Anzi. Paradossalmente l'imposizione di nuovi tributi confermerà nei propri convincimenti chi pensa che le misure possano essere allontanate, barattando il contributo di solidarietà con una riforma delle pensioni che tutta Europa ci chiede ma noi ottusamente tardiamo a fare. In un momento di difficoltà non serve prendere tempo o nascondere la testa sotto la sabbia: bisogna agire. Invece di fare discorsi populisti, Bossi e soci farebbero meglio a farne di franchi, parlando chiaro agli italiani. Diversamente rischiamo di essere costretti ai tagli sull'onda dell'emergenza, proprio come è accaduto la scorsa settimana, quando la Bce ci ha imposto una manovra dietro la minaccia di non sottoscrivere più i nostri titoli di Stato. Ecco perché siamo contrari alla tassa su chi guadagna più di 90 mila euro. Non si tratta di egoismo ma di realismo. A questo Paese teniamo più di molti cattivi predicatori che tardivamente si sono scoperti paladini della nazione. E sappiamo che la medicina per evitare il peggio non è far ingrassare lo Stato con le tasse, ma metterlo a dieta. Ps. Per dar prova del sentimento nei confronti del Paese sono pronto a un giuramento. Nel caso in cui, come pare avverrà, Berlusconi ascoltasse i nostri suggerimenti e abolisse l'imposta sul ceto medio, al netto delle tasse verserò l'equivalente del prelievo in beneficenza. Il contributo a chi ne ha bisogno non mi spaventa. Il contributo a spingere l'Italia ancor più nel baratro sì.