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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Ho cominciato la mattina raccogliendo lo sfogo telefonico di un amico che ce l'aveva con il governo a causa del prelievo sui redditi oltre i 90 mila euro. L'ho proseguita con la lettura degli sms:  il più tenero dava del pazzo a Tremonti senza risparmiare Berlusconi. Tralascio le email dei lettori, che hanno intasato la mia posta elettronica: veri e propri assalti contro le misure economiche. Tra chiamate, messaggi e posta elettronica non ho ricevuto neppure un plauso per ciò che il governo sta facendo. E neppure una nota di rassegnata condivisione.  Ora, siccome chi mi scrive o mi telefona non è un supporter di Bersani o di Di Pietro, debbo concludere che il popolo di centrodestra è assai incazzato con i suoi rappresentanti.  Non so se il Cavaliere ci abbia riflettuto ieri quando ha dato il suo assenso ai provvedimenti per riequilibrare i conti. Sta di fatto che, con il varo di una tassa  extra la quale colpisce chi guadagna più di 90 mila euro  egli ha dato una stangata a molti dei suoi elettori. In pratica il premier si è piegato ai desideri della sinistra demagogica e populista, quella che ritiene ricco e dunque da tosare chiunque non abbia uno stipendio ai minimi termini. Ma si rende conto Silvio Berlusconi di che cosa vuol dire guadagnare 90 mila euro lordi l'anno? Non si è nababbi con quella cifra. Si è semplicemente lavoratori, professionisti, artigiani che stanno appena sopra la media. Dichiarando 90 mila euro in realtà se ne mettono in tasca molti meno. Quasi la metà se ne va in tasse e contributi e dunque al netto  non si arriva a 4 mila euro al mese: 3.700 per la precisione. È uno stipendio da favola? Un privilegio da segare?  Io non so chi si sia fatto venire la bella idea di dare una batosta al ceto medio che la crisi non ha ancora ridotto in povertà. Soprattutto non so se a Palazzo Chigi e dintorni si rendano conto di chi hanno tassato.  Si dirà: ma non c'era altra via. Balle. Di vie ce ne erano altre e nei giorni scorsi ne abbiamo indicate un certo numero, a cominciare dai tagli della spesa pubblica per poi passare a quelli della politica e della Casta. Avevamo suggerito anche la privatizzazione e la quotazione in Borsa dell'immenso patrimonio pubblico e ancora oggi il nostro Nino Sunseri fa l'elenco di ciò che si può mettere in pratica. Tutto inutile. Il governo, con la benedizione del Quirinale e della sinistra, ha deciso di colpire chi non versa in povertà. Quasi che avere un reddito appena superiore al minimo sia un privilegio da pagare caro. Ancora una volta si è deciso di non  andare fino in fondo e  tagliare le spese inutili. Tremonti e Berlusconi hanno annunciato qualche taglio alle Province (si parla di ridurle di un terzo, non della loro abolizione) e di accorpare i Comuni più piccoli. Provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma che si riveleranno poca cosa. Gli introiti più rilevanti verranno dalla riduzione dei trasferimenti agli enti locali, con il risultato che questi aumenteranno le cosiddette addizionali, ovvero le imposte. Di soldi in meno alla sanità sprecona (quella che pesa di più sul bilancio dello Stato) invece non si parla. Al posto di diminuire gli sprechi e gli eccessi, si è preferito aumentare le entrate e lo si è fatto nel solo modo che la politica conosce:  rincarando le tasse.  Per Tremonti si tratta di spiccioli, infatti ieri ha dichiarato che le misure sono costituite da poche gabelle, ma per chi le subisce posso assicurare che così non è. Qualcuno si domanda se almeno il sacrificio servirà. Spiace deluderlo, ma la stangata sarà inutile. Non solo perché non produrrà un introito sufficiente a riequilibrare una barca che rischia di affondare (le persone che guadagnano più di 90 mila euro sono poco più di  400 mila e il gettito che ne deriverà sarà una  goccia nel mare del debito pubblico), ma anche perché quanto ricavato non sarà strutturale, bensì un provvedimento tampone. I soldi ottenuti spremendo il ceto medio non risolveranno il problema del Paese, ma molto presumibilmente finiranno per essere bruciati nel calderone delle spese statali, a finanziare improbabili progetti di crescita e di sviluppo.  Ieri il direttore del Corriere della Sera nel suo editoriale sollecitava l'uso del contributo straordinario (chissà perché non lo chiamano con il vero nome, cioè tassa) a favore del lavoro dei giovani. Come se il lavoro si creasse d'incanto pagando chi deve assumere. La verità è che quei soldi saranno divorati come tutti gli altri da un apparato che non vuole ridimensionare le proprie abitudini. Sarà in sostanza una tassa che allontanerà, per qualche mese o un anno, la soluzione del problema. Con un solo risultato: aver  impoverito la classe media. Complimenti. Per arrivare a tanto non serviva un governo di destra. Ne bastava uno di sinistra. Anzi: bastava Prodi.

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