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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Nella prima Repubblica, quando per far quadrare i conti i governi non sapevano dove mettere le mani, le mettevano sulle sigarette, sulla benzina e sulla casa. Poteva fare eccezione un esecutivo partito con l'idea di ridurre le tasse e messo con le spalle al muro dalla crisi finanziaria? Ovvio che no. Per quanto i ministri e i presidenti del Consiglio cambino, quelli che li circondano, preparano gli studi e indicano chi colpire sono sempre gli stessi di allora. Per adesso si tratta di indiscrezioni, ma a volte, come consigliava Andreotti, a pensar male non si sbaglia. Le voci danno in arrivo una super stangata sulle seconde case, quegli appartamenti al mare e ai monti che una parte del ceto medio è riuscito faticosamente a conquistare dopo anni di lavoro e nei quali le famiglie si concedono poche settimane di vacanza. Adesso, a far andar di traverso ciò che resta dei giorni di ferie ci penserà il Fisco. Gli ispettori passeranno al setaccio le dichiarazioni dei redditi e le località di villeggiatura e poi presenteranno il conto. La motivazione? Bisogna rassicurare i mercati. Come si rasserenino gli speculatori di fronte a un prelievo su tinello più servizi non è dato sapere. Al contrario c'è il rischio  che le famiglie proprietarie di un alloggio estivo siano ancor più preoccupate di quanto già non sono, con il risultato di dare un'altra botta ai consumi e alla fiducia dei contribuenti. Insomma, detta in parole povere, la tassa sulla casa di vacanza ci pare l'ultima spiaggia. Di certo si tratta di un errore marchiano, in quando il gettito non sarà risolutivo dei problemi degli italiani, ma finirà per aggravarli, deprimendo il mercato immobiliare, uno dei pochi che ancora tiene. Alle obiezioni i cosiddetti esperti replicano che per raggranellare i quattrini necessari non ci sono altre strade. Dopo le sigarette e la benzina, toccherebbe dunque alla casa, ancorché seconda. Ma le cose non stanno così. Ieri abbiamo indicato un numero impressionante di pensioni di lusso che vengono prima di quelle dei poveri diavoli ma che nessuno si sogna di tagliare. Oggi ci occupiamo dei mattoni che vengono prima di quelli delle famigliole. Prendete ad esempio i beni dello stato. Secondo un lavoro messo a punto da alcuni esperti nominati dal ministero dell'economia, il valore complessivo degli immobili di proprietà pubblica ammonta a circa 420 miliardi di euro. Dallo stesso rapporto emerge che il patrimonio fruttifero dello stato centrale si aggira sui 215 miliardi di euro, cui vanno però aggiunti 460 miliardi del patrimonio delle Regioni, per un totale di 675 miliardi. Una cifra che potrebbe addirittura crescere, in quanto le stime risalgono a qualche anno fa. Di questa immensa ricchezza solo il 40 % è remunerativo, nel senso che rende qualcosa, il resto pur essendo di tutti non dà un euro. Ora, se si prendessero gli immobili e le partecipazioni nelle varie società pubbliche tipo Enel, Eni, Finmeccanica e altro, e si mettesse tutto dentro una grande holding da quotare, lasciando allo stato solo il 30 %  mentre il resto sarebbe messo sul mercato, quando incasserebbe il governo? Tre o quattrocento miliardi? Forse la cifra sarebbe superiore, ma prendiamo per buona la stima minima: trecento.  Soldi che non dovrebbero essere sprecati in mille rivoli o per far ripartire l'economia, ma semplicemente usati per abbattere il debito. Quotando il patrimonio pubblico in buona sostanza si potrebbe ridurre la montagna di miliardi che schiaccia il Paese di circa un sesto, una mossa che ci metterebbe al riparo dalla speculazione e che ci consentirebbe di evitare una stangata al ceto medio. Non solo:  privatizzando il patrimonio pubblico e collocandolo in una holding quotata in Borsa è quasi certo che ci leveremmo di torno la massa di profittatori che su palazzi e  azioni dello stato campa e ingrassa. Di consigli di amministrazione, gettoni di presenza, appalti, manutenzioni, tangenti, si farebbe piazza pulita. E con gran risparmio. Vi state chiedendo perché se le cose stanno in questo modo nessuno si è ancora deciso a farlo? Semplice. Come detto, privatizzando il patrimonio dello stato si disturbano gli interessi di tanti e questi si mettono di traverso alla prima avvisaglia. Molto più facile dunque tartassare i poveri cristi che si sono comprati la casetta. Quelli non partecipano agli incontri con le parti sociali. Li ci vanno i sindacalisti, dei dipendenti  e degli imprenditori. Chi ha l'appartamento non solo non è  invitato, ma se anche lo fosse non ci andrebbe. E' gente che per permettersi l'appartamentino al mare  deve lavorare. Mica ha tempo da perdere con le riunioni  sindacali.

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