L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Secondo Antonio Di Pietro in Parlamento esiste una maggioranza che non è di destra né di sinistra, ma è semplicemente una maggioranza della Casta, ovvero di quel ceto politico che sugli incarichi istituzionali campa e pure con una certa larghezza di mezzi. È stato questo schieramento trasversale a bocciare alla Camera la proposta di abolire le Province e il leader dell'Italia dei valori ha accusato i furbi di aver tradito il mandato degli elettori, rimangiandosi le promesse fatte quando chiedevano il voto. Nei programmi di progressisti e conservatori il piano per ridurre gli sprechi e contenere le spese della politica cominciava proprio da lì, dalle Province. In tutto 110, molte delle quali sorte di recente per contentare aspirazioni campanilistiche o esigenze clientelari. In qualche caso senza neppure un vero capoluogo, come nella provincia di Bat, Barletta-Andria Trani. Ma con un costo totale di circa 17 miliardi, molti dei quali se ne vanno per gli stipendi dei dipendenti, che in tutto sono 61 mila. Ma non sono gli unici a dover essere foraggiati. Ad essi si aggiungono ovviamente 110 presidenti e gli oltre 4mila fra assessori e consiglieri. Tutta questa gente per far che cosa? Per occuparsi del territorio, dei trasporti, dello sviluppo economico e di gestione e amministrazione. Tutte funzioni che potrebbero benissimo svolgere altri enti come i Comuni e le Regioni, i quali spesso hanno competenze che si sovrappongono a quelle delle Province e potrebbero dunque svolgerle senza bisogno di nominare altri presidenti e consiglieri, con un immediato risparmio, se non altro di spese generali. Del resto, che le Province fossero enti inutili lo avevano già pensato i padri costituenti, i quali - scrivendo la carta fondativa della Repubblica - si erano posti il problema di eliminarle. Purtroppo, invece di procedere senza esitazioni alla loro cancellazione in quanto sostituite dalle Regioni, i membri del primo parlamento repubblicano decisero di soprassedere in attesa che i nuovi enti divenissero operativi, fissando anche una data di scadenza, ovvero il 1970. Ma, come sempre accade, da noi nulla è più stabile di ciò che è precario. Così le cento Province già definite inutili al pari di molti altri enti da sopprimere sono vissute per più di sessant'anni, crescendo di numero e soprattutto di spese. Solo negli ultimi anni avrebbero divorato quattro miliardi e mezzo in più e la statistica è ferma al 2005. Si può fare a meno di un ente che, nella maggior parte dei casi, è amministrato da presidenti che gli elettori nemmeno conoscono e del cui operato non sanno praticamente nulla? Certo che si può, anzi: si deve. Questo giornale un paio di anni fa, appena entrato in carica il nuovo governo Berlusconi, si fece promotore di una raccolta di firme fra i lettori, con l'intento di spronare il nuovo esecutivo a varare in fretta una legge di riforma che trasferisse ad altri i compiti delle Province. L'intenzione era di arrivare in fretta alla soppressione di una fonte di spreco. L'iniziativa ebbe uno straordinario successo, tanto che in redazione giunsero decine di migliaia di adesioni e alla fine se ne contarono circa 150 mila. Purtroppo, nonostante il sostegno popolare, non successe nulla. I ministri competenti fecero orecchie da mercante e anche alcuni disegni di legge presentati in Parlamento furono lasciati cadere. Si dice che a opporsi al provvedimento sia stata la Lega, che da poco aveva conquistato con i suoi uomini una decina di amministrazioni provinciali e intendeva usare gli enti per rafforzare l'area a guida leghista. La verità è che tutti, destra e sinistra, una volta occupata la poltrona, fanno fatica a lasciarla. Il Pd perché controlla una quarantina di Province e non saprebbe dove sistemare i funzionari e gli amministratori che vi hanno trovato fonte di soddisfazione e di reddito. Il Pdl perché, avendone conquistate poche di meno, ha lo stesso problema. Insomma, tutti d'accordo a continuare la cuccagna. Ma mentre con una mano spendono, con l'altra impongono nuove tasse. E questo non è molto liberale né molto democratico. Dunque, visto che dalla maggioranza non c'è da aspettarsi alcuna iniziativa spontanea che abolisca le Province, proviamo con quella spintanea. Visto che Di Pietro strilla tanto e che si impegna allo spasimo quando c'è da raccogliere le firme per referendum che poi si rivelano regolarmente traditi (prendiamo il caso di quelli sull'acqua, i quali pur avendo ottenuto una maggioranza bulgara vengono aggirati dagli stessi che li hanno tenuti a battesimo: vedi Vendola e i compagni del Pd), apra una sottoscrizione per una legge di iniziativa popolare di rango costituzionale. In fondo servono meno firme di quelle necessarie a richiedere un plebiscito: solo 50 mila. E anche se la sigla dovrà essere apposta di fronte a un notaio, non credo che sarà complicato raggiungere il risultato. La proposta ovviamente dovrà poi passare al vaglio del Parlamento, ma i signori onorevoli dovrebbero proprio avere una gran faccia tosta per dire di no a una legge sollecitata dai cittadini e con largo consenso nel Paese. Per il testo, faccia lei caro Di Pietro. A noi va bene sia la sua proposta sia quella che alcuni parlamentari del Pdl presentarono tempo fa alla Camera. L'importante è che ci sia una riga che dica chiaramente che le Province sono abolite. Nell'attesa noi, sulla pagina delle lettere e sul sito di Libero, siamo pronti ad ospitare le opinioni dei lettori. Scrivete ciò che pensate a proposito delle Province. Noi saremo il vostro megafono.