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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Confesso: martedì  scorso non ho visto il teatrino televisivo messo in scena settimanalmente da Giovanni Floris. Dunque, insieme all'ultima puntata di Ballarò, mi sono perso pure l'intervento di un sopravvissuto della prima Repubblica del calibro di Giuliano Amato. Poco male, diranno i lettori. E invece no, la visione era consigliabile al pubblico, soprattutto a quello che nutre dubbi sulle idee sovietiche della sinistra in materia finanziaria. Da quel che riferisce Stefano Cingolani su il Foglio, l'ex presidente del Consiglio che quasi vent'anni fa mise le mani in tasca agli italiani approfittando della notte,  davanti alle telecamere è tornato a rilanciare la patrimoniale. L'idea l'aveva tenuta a battesimo mesi fa, quando propose di ridurre il debito da 120 a 80 per cento del Pil facendolo pagare a un terzo degli italiani, quelli giudicati più abbienti. Ma una settimana fa Amato l'ha esplicitata ancor meglio. Si tratterebbe di una tassa sulla ricchezza, che andrebbe a colpire chiunque abbia dei beni al sole, scaricando sulle sue spalle il peso di sessant'anni di sperpero di denaro pubblico. Altro che tagliare le spese folli della sanità, chiudere gli ospedali che non servono se non a curare le clientele, ridurre gli sprechi e aumentare i controlli sui sussidi assistenziali e i falsi invalidi. La soluzione per far quadrare i conti c'è l'ha l'uomo che stangò i contribuenti senza guardare in faccia a nessuno ed è un'altra stangata. Certo, Amato è un vecchio arnese ormai ai margini della politica attiva e il suo potrebbe apparire come un progetto senile di un lupo che ha perso il pelo ma non il vizio di tassare. E invece no, perché il dottor Sottile non fa altro che dire in maniera esplicita, senza giri di parole, ciò che i suoi compagni pensano ma non dicono. Ovvero che il conto del debito pubblico lo si deve scaricare sulle spalle delle famiglie. O per lo meno di quelle famiglie che nel corso degli anni e dei decenni, a prezzo di molti sacrifici, hanno messo da parte qualcosa. Si tratta di una furbata. Di un colpo dei soliti noti. I quali non sono abituati a tenere in ordine i bilanci e far quadrare le uscite con le entrate, ma continuano a pensare che se si è speso troppo, se si sono date troppe pensioni a chi non ne ha diritto, troppi posti di lavoro pubblici che non hanno ragione di esistere, non si deve tagliare. Basta aumentare il prelievo fiscale. Cioè mettere le mani in tasca a chi qualche soldo lo ha risparmiato. Nella storia della Repubblica è sempre stata la scappatoia che ha consentito ai vari governi di tirare avanti senza assumersi mai la responsabilità di cambiare. Ogni volta che le cose non andavano, che i soldi non c'erano, si faceva in fretta e si prelevava un po' di ricchezza dai conti delle famiglie. Imprese, case, altre proprietà. È facendo in questo modo che l'Italia è giunta ad essere uno dei  paesi con la più alta tassazione sugli utili delle imprese. Ieri l'altro mi è capitata sotto mano una statistica predisposta dal ministero degli Esteri svizzero. Era la classifica dei posti in cui il Fisco tratta meglio le aziende. Il numero uno era il Lussemburgo, l'ultimo l'Italia. Ma in mezzo c'erano la Repubblica ceca, l'Ungheria, la Russia e perfino l'India, oltre naturalmente a tutti i paesi europei. Cosa vuol dire? Che da noi i tributi non fanno crescere l'industria, ma la tosano a tal punto che rischiano di ammazzarla. Che senso ha dunque parlare di nuove tasse? Se non quello di far scappare chi ha quattro soldi e li vuole investire. E poi parlano di evasione fiscale. Ma fino a che continueranno a mettere nuove tasse, la gente per questione di sopravvivenza continuerà a cercare di non pagarle. La soluzione sarebbe ridurle, ma la sinistra sovietica che ancora oggi guida l'opposizione non ci sente. Per la verità una certa sordità dinnanzi alla materia pare l'abbiano anche alcuni esponenti del centrodestra e perfino chi sta al governo. Diversamente non si capisce perché nella maggioranza ogni tanto c'è qualcuno che strizza l'occhio alla patrimoniale. Così come si fatica a comprendere perché invece di  metter mano alla pistola contro le spese pazze ci sia chi con la manovra voglia reintrodurre il ticket sanitario e pure un superbollo sulle auto di grossa cilindrata o sui Suv. Per fare questo non c'era bisogno di un esecutivo autoproclamatosi liberale, né di Berlusconi o di Tremonti. Bastava Andreotti. Magari con Amato a fargli da spalla.

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