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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Nelle scorse settimane abbiamo spesso difeso Giulio Tremonti dagli attacchi che gli venivano mossi da dentro il centrodestra. Il ministro dell'Economia, ai nostri occhi, ha il merito di aver tenuto i nervi saldi quando la crisi finanziaria faceva venire la tremarella a mezzo mondo e questo gli andava riconosciuto e non imputato. Se l'Italia ha sofferto meno di altri  Paesi, lo si deve a lui, al commercialista di Sondrio, come lo chiamano sprezzantemente i suoi detrattori. A differenza dei responsabili delle Finanze di altre nazioni, non si è fatto prendere dal panico, non ha deciso provvedimenti a casaccio a spese dello Stato  né si è fatto sfuggire di mano la situazione, soprattutto per quanto riguarda i conti pubblici. Il risultato è sotto gli occhi di tutti coloro che non abbiano indossato gli occhiali del pregiudizio:  mentre la Grecia è praticamente fallita, l'Islanda lo è da un pezzo, l'Irlanda altrettanto, Spagna e Portogallo vi sono vicine, noi rimaniamo fuori dalla bufera. Per quanto i falchi della sinistra  insistano a parlar male del loro Paese convinti di trarne un vantaggio elettorale, le principali istituzioni internazionali riconoscono che l'Italia ha i conti in ordine e non è a rischio. Paradossalmente questo merito, cioè il fatto di aver saputo mantenere una linea rigorosa in fatto di spesa pubblica, all'interno del centrodestra si è trasformato in una colpa. Da settimane si accusa Tremonti di aver  danneggiato la maggioranza che lo sostiene. Di averla fatta perdere alle Amministrative e di aver dato spazio a un vento antimoderato che ha portato anche alla vittoria del Sì referendario. Una tesi che a noi è parsa non solo ingenerosa nei confronti del ministro dell'Economia, ma anche sbagliata, perché disconosce uno dei risultati migliori ottenuti dal governo. E in più consolatoria: non è perché Giulio non ha aperto i cordoni della borsa che Pdl e Lega hanno perso. Sono stati sconfitti perché hanno scelto i candidati sbagliati, hanno commesso errori marchiani e non hanno saputo dare un messaggio positivo agli elettori. Salvo demonizzare gli avversari, non sono riusciti insomma a comunicare i buoni motivi per cui la gente avrebbe dovuto votarli. Chiarito che stiamo dalla parte di Tremonti perché riteniamo abbia fatto bene e dunque giudichiamo un errore l'idea di sostituirlo con qualcun altro come qualcuno nella maggioranza minaccia, vorremmo però oggi rivolgergli un appello. Evitiamo le premesse perché abbiamo già chiarito quanto teniamo al rigore della spesa pubblica. Non abbiamo nessuna intenzione di scassare i conti dello Stato né di fare propaganda a spese del bilancio nazionale: in queste operazioni sono specializzati i compagni.  Ciò nonostante, pur rispettando tutti i vincoli europei e anche quelli che impongono i grandi investitori che sottoscrivono Bot e Cct, ora pensiamo davvero che sia giunto il momento di abbassare le tasse. Non lo diciamo solo per risollevare i consensi del centrodestra:  pensiamo sia urgente anche per risollevare il morale al Paese. Si sente in giro un'aria un po' depressa, una specie di umor plumbeo che non aiuta a guardare al futuro con speranza.  Un nero pessimismo sta contagiando l'Italia e il risultato è che le persone si chiudono in loro stesse incapaci di reagire. Urge una scossa. E la sola possibile è quella che può produrre un taglio delle imposte. Non c'è spostamento di ministero dal centro al Nord come reclama Umberto Bossi. Né stop alla missione militare in Libia. La sola misura che ha il potere di far respirare un po' gli italiani è la riduzione delle tasse.  La chiedono sindacati ragionevoli come Cisl e Uil. La pretendono i ministri leghisti. La esige Berlusconi. Sì, Giulio, è proprio giunto il momento di moderare le pretese del Fisco. Sappiamo che non è facile, che di soldi da spendere ce ne sono pochi e quei pochi servono altrove, ma adesso è il momento di fare qualcosa. Non sappiamo dove il denaro si possa trovare. L'altro giorno abbiamo pubblicato i 500 rivoli in cui si disperdono sgravi e agevolazioni e anche se non sono risorse sufficienti a finanziare un ritocco all'Irpef, a naso diremmo che da lì si può cominciare. E poi si potrebbe proseguire con i costi della politica, che non saranno grande cosa ma sono pur sempre una spesa che fa arrabbiare i contribuenti. Il grosso poi potrebbe venire dalla sanità. A chiudere certi ospedali  ci si guadagna solo:  ne beneficiano le casse pubbliche, ma ne traggono vantaggio anche i malati, i quali eviterebbero di rischiare la vita in posti in cui le uniche cure dispensate sono quelle clientelari.  Intendiamoci: non vogliamo insegnare il mestiere al ministro, il quale sa meglio di noi di che cosa è composto il bilancio dello Stato. Vorremmo solo fargli da pungolo. Dài, Giulio, taglia. E stavolta non solo i finanziamenti : usa le forbici anche per restituire un po' di soldi agli italiani. Senza mandarci in bancarotta. 

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