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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Giuliano Ferrara scrive che Berlusconi è all'ultima spiaggia. «Ha perso. Di brutto. Ha perso lui e ha perso male».  Difficile dargli torto e infatti non abbiamo intenzione di provarci. Anche perché in gran parte la pensiamo come lui e come lui lo abbiamo scritto, sottolineando gli errori compiuti in questa brutta campagna elettorale. Ciò detto non vorremmo però che la sola conclusione tratta dal voto di domenica e lunedì riguardasse la leadership calante del presidente del consiglio. Il Cavaliere certamente non tira più come prima. Tanto è vero che non gli è bastato qualche comizio a Milano e Napoli per risollevare le quotazioni di candidati un po' scarsi. Il premier ha poi sbagliato a caricare i toni e a incentrare tutta la campagna elettorale su sé stesso, soprattutto perché lo ha fatto nel periodo peggiore, cioè quando il suo consenso personale era ai minimi. Però non vorremmo che passasse la tesi consolatoria che attribuisce ogni responsabilità della sconfitta a Berlusconi. Silvio ha la sua dose di colpe ed è giusto che se la prenda: i comandanti sono lì per questo, per assumersi  gli onori in caso di vittoria e gli oneri qualora siano battuti. Pensare che far fuori il Cavaliere o anche solo costringerlo a un passo indietro sia la soluzione di tutti i problemi è una sciocchezza. La sberla di questo fine maggio in realtà ha molti padri e molte madri e non un genitore solo con residenza ad Arcore. Dei candidati deboli si è già detto e non vogliamo ritornarci perché a proposito di Moratti e Lettieri non c'è nulla da aggiungere. Vorremmo quindi richiamare l'attenzione su Pdl e Lega, i due partiti della coalizione di cui poco si è parlato. Cominciamo dal Popolo delle libertà. Nell'ultimo anno lo abbiamo visto solo litigare. Prima Fini e Berlusconi, poi Bocchino e tutti gli altri. Quando alla fine i parlamentari del presidente della Camera hanno fatto le valigie per traslocare sotto l'insegna di Futuro e libertà, la battaglia è ripresa fra le correnti: tutti contro tutti in nome del grande capo. Quelli di Frattini e Gelmini da una parte, gli uomini di La Russa e camerati dall'altra. Verdini con i suoi e la Santanché a farsi fatti suoi. Poi, per completare l'opera, ecco spuntare Scajola con la sua corrente.  A tenere insieme tutti gli spifferi  dei vari capo partito riusciva solo la Dc, che sulle correnti aveva costruito un sistema di potere. Qui c'è invece il rischio che tutto cada: a forza di litigare non solo si fanno danni, ma nessuno si occupa davvero del partito e di ciò che succede in periferia. Il risultato è che non sono riusciti neppure a scegliere dei sindaci capaci di vincere in due città ritenute sicure come Milano e Napoli.  Se continua così il Pdl non solo perderà male anche le prossime elezioni, ma finirà per sparire. Invece di darsi una regolata, nel partito è già l'ora delle faide. C'è chi pensa di far fuori i coordinatori per metterci Angelino Alfano e chi prepara il defenestra mento del ministro Tremonti. L'una e l'altra mossa servirebbe a poco, perché qui semmai c'è da rifondare il partito e insieme ad esso anche il governo o per lo meno la sua missione. E ora veniamo alla Lega. Ho letto sulla Padania la dichiarazione del candidato sindaco di Novara in cui si spiega che la batosta è dovuta alla politica nazionale, gettando in tal modo la croce della sconfitta sulle spalle del Cavaliere. In fondo è facile e costa poco addossare le responsabilità sulle spalle di Berlusconi e  soprattutto evita di fare autocritica. Ma se la Lega ha perso Novara, Domodossola, Pavia, Desio, Rho e Gallarate non può essere solo colpa di Silvio. Il presidente del consiglio avrà sottratto qualche consenso, ma ci fossero stati candidati forti, sostenuti da tutti i partiti, il centrodestra avrebbe potuto farcela. E invece no. In molte realtà il Carroccio ha scelto correre da solo, in competizione oltre che con la sinistra anche con il Pdl.  A Gallarate, un grosso comune tra Varese e Milano che secondo Maroni avrebbe potuto diventare un laboratorio politico, ci ha provato e ha regalato il comune alla sinistra. Stessa storia a Desio e Rho. Ciò significa che quando non è alleata con il Pdl la Lega non va. Altro che scaricare Berlusconi: senza il Popolo della Libertà il partito di Bossi non va lontano. Anzi, innesta la retromarcia. In fondo Carroccio e Pdl hanno gli stessi problemi. Entrambi sono partiti carismatici, che hanno affidato ogni decisione e strategia ai propri leader ed entrambi devono fare i conti con una crisi di leadership. Berlusconi non tira più come prima, ma anche Bossi è nelle stesse condizioni e non è bastata la sua discesa in campo a vincere Mantova o Gallarate. A noi insomma pare che i partiti del centrodestra debbano entrambi pensare a rifondarsi. Il primo, quello di Silvio, dandosi una struttura e dei quadri dirigenti che siano degni del nome e stiano sul territorio. Il secondo ha buoni amministratori ed esponenti mediamente preparati, ma la sua politica di lotta e di governo l'elettore non l'ha capita. Troppi passi indietro, troppa fretta di vestire i panni dei moderati e di lasciare a Silvio quelli da estremista, inutili polemiche sulle celebrazioni dei 150 anni. Insomma, Pdl e Lega devono metter mano all'armamentario. E' l'unico sistema per vincere la guerra dopo aver perso la battaglia. Scorciatoie non ne vediamo.

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