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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Andrea Tempestini
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Questa storia del ballottaggio, che sa tanto di balle girate e rigirate, raddoppia la scocciatura di dover andare a votare. Il tutto per eleggere dei sindaci che, non avendo in cassa un soldo, se si esclude qualche spicciolo per pagare il costo dei servizi, non potranno fare molto per migliorare le città. Al massimo riusciranno a provvedere al trantran; più probabilmente, peggioreranno la vita degli abitanti. Accade la stessa cosa quando è tempo di scegliere i governatori delle Regioni, enti inutili o addirittura dannosi (al Sud) se si considera che la voce principale dei loro bilanci è la sanità. L'ottanta per cento delle risorse regionali se ne va in ricoveri ospedalieri, terapie e roba simile. Una montagna di denaro che serve a garantire a ricchi e poveri il diritto alla salute. Non viene in mente a nessuno che i ricchi potrebbero arrangiarsi in proprio, coprendo i rischi con assicurazioni private. Sarebbe un bel risparmio. Quanto ai poveri, non gli par vero di avere tutto gratis, sicché essi si divertono a riempire gli armadietti di supposte e sciroppi e pastiglie di cui consumano solo una parte e il resto finisce nel water. Non ci credete? E allora sentite questa. Roberto Formigoni, bravo e competente nonostante sia ciellino ed ex democristiano, mi ha confidato un particolare da brivido: il settanta per cento degli esami clinici e di laboratorio (ordinati a cuor leggero, e per paura di grane, dai medici cosiddetti di base) è superfluo. I risultati non vengono nemmeno ritirati dai pazienti. I quali, essendo guariti dopo un paio di giorni, se ne infischiano, poi, di avere in tasca una carta che certifichi il loro sostanziale benessere fisico. Tutto ciò costa comunque un'iradiddio. Amen. Tanto paga lo Stato. Basterebbero questi dati per capire che forse non vale la pena di dannarsi l'anima per avere un sindaco al posto di un altro, o un governatore al posto di un altro. Il problema non è amministrare bene o male, ma il fatto che ogni ente tira a campare con quanto gli rimane - un fico secco - dopo aver saldato le spese ordinarie, tra cui gli stipendi al personale, di norma sproporzionato per eccesso numerico alle effettive necessità di lavoro. Detto questo, ovvio che la colorazione politica incida relativamente sul funzionamento di una giunta. A fare la differenza è il denaro. Non vince chi ne ha di più, ma chi ne ruba (o spreca) di meno, riuscendo quindi ad avanzarsi qualche milione da destinare ad opere pubbliche. Non fosse così non si spiegherebbe come mai - a parità di introiti potenziali - la Lombardia vanta una sorta di efficienza, mentre la Sicilia è disastrata. Piccolo esempio: la Lombardia (Regione) ha 3 mila dipendenti, la Sicilia 30 mila. Qui non si tratta di eleggere un berlusconiano o un antiberlusconiano, ma una persona con la testa sulle spalle che non si occupi dei massimi sistemi e di assunzioni clientelari, bensì della sostituzione delle lampadine fulminate pagandole il prezzo giusto e non il triplo, come purtroppo avviene non solo nel Meridione. Il compito di un sindaco prescinde dalle ideologie; per sistemare le buche di una strada non bisogna compulsare i sacri testi del socialismo o del liberalismo; a un amministratore non si richiede una visione strategica della società ideale, ma la capacità di fare il conto della serva, base dell'economia e della finanza. Un discorso riduttivo? Nossignori. Se certi sindaci fossero stati in grado di fare il conto della serva non avrebbero investito il denaro pubblico nel “bidone derivati”, e ora tanti Comuni non sarebbero in stato prefallimentare. Spero sia chiaro il concetto. Se lo si condivide, si comprende anche che è stata una idiozia caricare la consultazione in corso di valenze politiche. Che c'entra il governo nazionale, questo sì deputato a imprimere i propri valori (ammesso ne abbia) alla sua attività, con l'amministrazione di Napoli? Il capoluogo campano ha avuto, dall'istituzione della Repubblica, sindaci di ogni estrazione: democristiani, comunisti, progressisti. Ma continua ad essere una città che, con rispetto parlando, fa schifo. Perché? Perché, purtroppo, quanto abbiamo scritto sopra è vero. I partiti non mirano ad amministrare correttamente le città e le Regioni, ma puntano ad occuparle nell'illusione di essere poi facilitati nella conquista del Palazzo romano e di poter decidere le sorti del Paese. È il motivo per cui le campagne elettorali a livello locale - come l'ultima che abbiamo vissuto con angoscia - sono identiche a quelle nazionali: sorvolano sulle questioni terra-terra e si dedicano alle astrazioni tipiche della nostra confusa politica, che non è neppure politica ma scontro fra tifoserie, bianchi opposti ai neri o ai rossi o ai verdi. Le competizioni più importanti di oggi si svolgono a Milano (Moratti-Pisapia) e Napoli (Lettieri-De Magistris). Non azzardiamo previsioni. Preferiremmo vincessero i candidati di centrodestra perché, conoscendoli, supponiamo facciano meno danni degli avversari. Ma non ci stracceremo le vesti se succedesse il contrario. Anzi. Ve lo immaginate De Magistris alle prese coi rifiuti storici? Posto che egli è ostile ai termovalorizzatori, come farebbe a eliminare la sozzeria? Ignora un principio elementare: o la bruci o la mangi, altrimenti rimane lì, si accumula. Va aggiunto che l'ottanta per cento dei napoletani evade la tassa sull'immondizia. Ergo quale è la soluzione di De Magistris? Introdurre la raccolta differenziata. Poi? Niente, qualche santo provvederà. Tuttavia, poiché i santi, compreso san Silvio Berlusconi, sono stanchi di fare prodigi, scommetto lo stipendio di un mese che, tra un anno, la monnezza partenopea, la quale oggi, a forza di ammucchiarla, arriva al primo piano delle case, salirà al terzo. E allora i cugini di Pulcinella constateranno di aver sbagliato cavallo e, alle prossime politiche, se non altro torneranno ad apprezzare quello che hanno abbandonato. Idem, Milano. Desiderate sbarazzarvi della Moratti? Fate voi. Quando Pisapia, che non sa amministrare manco un condominio, l'avrà trasformata da capitale del made in Italy in capitale dell'Eurabia; quando piazza Duomo sarà una distesa di sederi oranti; quando a Palazzo Marino si terranno gli Stati generali dei no global e dei centri sociali; quando l'Expo sarà stata accantonata; quando finalmente il verbo di Rifondazione comunista sarà concreta realtà, i progressisti rimpiangeranno la sciura Letizia e diranno con nostalgia: proprio vero che al peggio non c'è fondo.

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