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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Giulio Bucchi
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Gli antiberlusconiani sono molto eccitati perché i segnali pervenuti dalle urne amministrative li incoraggiano a sperare in un ribaltone che sognano da tre anni almeno, cioè da quando il centrodestra conquistò - dopo un biennio di limbo - la maggioranza e il diritto a governare il Paese per la terza volta. Comprendiamo la loro euforia. Per chi è a digiuno da tempo, anche un brodino aiuta a tirarsi su. Ma se fossimo in Pierluigi Bersani, leader della più massiccia compagine progressista, non ci faremmo troppe illusioni: se il Pdl piagnucola per il mezzo tonfo a Milano di Letizia Moratti, il Pd, qualora desse una occhiata ai propri risultati, avrebbe poco da ridere. Da quando è stato fondato, il Partito democratico, non ha fatto altro che tradire i principi che ne ispirarono il concepimento. Doveva incarnare una moderna socialdemocrazia, essere la forza egemone della sinistra, diventare un punto di riferimento per coloro i quali non si identificano nel berlusconismo, costituire una alternativa appetibile al binomio Pdl-Lega, e invece si è ridotto velocemente a ruota di scorta della sinistra atipica, estremista, insofferente al bipolarismo. L'idea originaria di Rutelli e Fassino, gli architetti del Pd, che era poi la stessa di Walter Veltroni (cui fu affidata la realizzazione del progetto) è andata a pallino ed è in procinto di fallire. Non lo diciamo noi poco o punto simpatizzanti per la gauche d'ogni tipo, bensì i numeri dell'ultima consultazione dai quali si evince che i soli autorizzati a cantare vittoria sono gli antipolitici, per atteggiamento se non per convinzione. Non è un caso che il dato più brillante venga sfoggiato dai grillini che con due ceci e un cocomero hanno ottenuto percentuali da sballo (a Bologna il dieci per cento). Voto di protesta? Sia quel che sia, è un fatto che la creatura del comico Grillo ha vendemmiato soprattutto fra i giovani che non considerano attraenti le formazioni di struttura tradizionale. Non solo. Nei due capoluoghi più importanti come test per capire in quale direzione tirasse il vento, Milano e Napoli, si è avuta la sorpresa più amara per il Pd. Nella metropoli lombarda si è affermato Giuliano Pisapia, già deputato di Rifondazione comunista, il quale per altro si era imposto alle primarie, rivelando con largo anticipo le tendenze dei milanesi. In quella campana, sulla vetta della classifica dei candidati contro Lettieri (Pdl), è balzato Luigi De Magistris (Idv) in controtendenza rispetto al declinante partito di Antonio Di Pietro. E il Pd? Sarà costretto ad appoggiarlo al ballottaggio per tentare di non avere un sindaco di matrice berlusconiana. Sintomi, questi, di uno sbandamento generale della politica italiana, incapace di interpretare le esigenze degli elettori e, quindi, di rappresentarli. Il fenomeno riguarda tanto la sinistra quanto la destra: la gente ha sopportato anni polemiche e scontri all'arma bianca di uno schieramento contro l'altro, ed ora, stanca e sfiduciata cerca una terza via dove le pare di intravedere una fiammella di speranza. Si tratta di una illusione, perché non sono certo personaggi quali De Magistris, Pisapia e Grillo i più adatti a sbloccare la situazione. Semmai la complicano e la rendono caotica, facendo rischiare all'Italia di piombare nel marasma. Sia Berlusconi sia Bersani hanno l'obbligo di rendersi conto che non conviene a nessuno, tantomeno a loro, inasprire una lotta che favorisce gli avversari della politica e allontana la soluzione dei problemi nazionali. Un'ultima osservazione. La Lega ha chiesto al premier il trasferimento al Nord di due ministeri. Giusto o sbagliato? Non sapremmo dire. Sappiamo invece che Milano è già ingolfata e non ha bisogno di imbarcare legioni di burocrati per crescere. Ha ben altre vocazioni. Basterebbe ordinare un sondaggio per averne conferma. O lo commissionano i colonnelli in camicia verde o provvederemo noi. Frattanto accettiamo scommesse. Due ministeri? No, grazie.

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