L'editoriale
di Vittorio Feltri
Immagino che i lettori, come Bossi e lo stesso Berlusconi, pur non essendo pacifisti ideologici che espongono la bandiera iridata alle finestre, sappiano che la guerra conviene non farla, ma che, se si fa, bisogna farla fino in fondo. Traccheggiare, sparare un giorno e il giorno dopo pentirsene, porta male. E infatti le cose in Italia non stanno andando bene: non solo perché Lega e Pdl non sono d'accordo sui bombardamenti, ma anche perché Gheddafi adesso ci minaccia. Ha dichiarato che ce la farà pagare cara. Un primo acconto ce l'ha già presentato: più di mille extracomunitari (senza contare i ventimila tunisini piombati qui nelle scorse settimane) sono arrivati a Lampedusa e altri ne arriveranno prossimamente. Allegria. Il signor dittatore ci imporrà il saldo a data da destinarsi sotto forma di attentati, attacchi armati di vario genere e chissà cosa. Ce lo ha detto a chiare lettere e, conoscendo l'uomo, non c'è da dubitare; manterrà la parola. A questo punto è evidente che non vale la pena discutere se il nostro governo abbia sbagliato o no ad aderire alla coalizione armata (con Usa, Francia, Inghilterra eccetera). Occorre prendere atto che il conflitto è in corso, divampa, e non è consentito tirarsi indietro. Troppo tardi. Ormai i nostri rapporti con Tripoli si sono irrimediabilmente guastati e, per evitare le ritorsioni violente del Colonnello, possiamo solo sperare che il regime crolli e travolga il suo leader. Ovvio. Sarebbe stato meglio non svegliare il cane dormiente, ma, dato che gli abbiamo aperto gli occhi a schioppettate, o ci rassegniamo ai suoi morsi o dobbiamo eliminarlo. Mors tua, vita mea. È un discorso crudo, cinico o semplicemente realistico? Scegliete voi. In questo momento non siamo in grado di farne un altro, forse perché un altro non c'è. Gran parte del petrolio che la Libia ci assicurava ce lo siamo giocato, le nostre imprese non avranno più le opportunità di lavoro che avevano un tempo. Ma non tutto è perduto. A una condizione: che Gheddafi sia spazzato via dagli insorti con l'appoggio militare dei cosiddetti volonterosi. I nuovi padroni della Libia - se tali diventeranno - poi dovranno comunque fare degli affari per campare e li faranno con i Paesi che li hanno aiutati a vincere. Se saremo fra questi, porteremo a casa almeno qualche briciola. Se viceversa avremo confermato la nostra fama di furbetti che tengono sempre il piede in due scarpe, resteremo a bocca asciutta. Non è più lecito indugiare: o di qua o di là. Siccome l'amicizia con Gheddafi si è rotta, tant'è che lui oggi annuncia vendetta e si organizza per colpirci, siamo obbligati a passare nettamente con i suoi nemici per salvare il salvabile. La Lega deve comprendere che non esiste una scappatoia. Cessi di litigare con Berlusconi e si renda conto che il presidente ha agito come ha agito per cause di forza maggiore. Ha scelto l'opzione bellica perché era il guaio minore. Ne sono consapevole. È dura da digerire. Soprattutto perché il premier ha commesso un errore al momento della decisione fatale: prima di dire sì alla guerra, avrebbe fatto bene a pretendere la spartizione dei profughi e dei clandestini con gli alleati. Non è giusto che ce li becchiamo tutti noi. Ma ora recriminare è inutile. E insistere con la polemica, mettendo a rischio la sopravvivenza del governo, significa praticare una politica autolesionistica e regalare all'opposizione la possibilità di realizzare i suoi sogni: ottenere da Napolitano un esecutivo tecnico che spiani la strada alla vittoria della sinistra. Sarebbe una iattura la cui responsabilità cadrebbe fatalmente sulla Lega. Bossi, sono pronto a scommettere, non sarà tanto sciocco.