L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Ha ragione Vittorio Feltri: che senso ha continuare a discutere di fascisti a distanza di 66 anni dalla morte del fascismo? Quanti si arruolarono nella Repubblica sociale sono quasi tutti morti e i pochi ancora in vita più che alla camicia nera pensano alla dentiera. La verità è che parlare di fascisti serve soprattutto agli antifascisti, i quali senza un nemico contro cui lottare non hanno motivo di esistere e dovrebbero sbaraccare. I partigiani non rassegnandosi all'estinzione sono dunque costretti a inventarsi qualcuno da combattere, creando ombre e paura sulle grazie alle quali conservare il proprio potere. È da mezzo secolo che va avanti così. Un inganno dietro l'altro. Il primo e il più grave è quello su cui si è costruito il mito della Liberazione. Far credere che l'Italia sia stata liberata dalla Resistenza è una balla che si può dar a bere solo a chi non sa nulla di storia patria e al massimo ha studiato sui libri della scuola post sessantina. I fascisti, anzi i nazisti, li hanno sconfitti gli alleati, i quali, è vero, risalendo la Penisola sono stati accolti da bande partigiane, ma si trattò di gruppi militarmente ininfluenti. L'idea che siano stati gli insorti comunisti a sconfiggere l'esercito di Hitler e le squadracce fasciste fu però funzionale a tutto quello che venne dopo. Se fu la sinistra a liberarci da oltre vent'anni di dittatura, è la sinistra che ha titolo di fare da guardiana alla Repubblica, stabilendo ciò che è democratico e ciò che non lo è. La storiografia comunista nel corso degli anni ha provveduto a ingigantire il ruolo della resistenza, cancellando progressivamente il peso di liberali, cattolici e repubblicani nella guerra al fascismo, proprio per consentire al Pci e ai suoi eredi di attribuirsi la funzione di custodi massimi della libertà e della Costituzione. L'uso che la sinistra ha fatto nel corso degli anni della posizione acquisita è noto. Grazie all'imbroglio della resistenza, i nipotini di Togliatti hanno via via demonizzato ogni avversario, dai democristiani della prima Repubblica ai berlusconiani della seconda. Appena il Cavaliere fu eletto, nel 1994, il 25 aprile fu trasformato in una grande celebrazione di resistenza degli sconfitti. Alla manifestazione parteciparono tutti i reduci dell'antifascismo militante, convocati per l'occasione. Il rito si è ovviamente ripetuto nel corso degli anni, con i resistenti sempre più arrabbiati per non essere riusciti ad avere ragione del “nemico”. Incattiviti dai fallimenti e privati dal crollo del comunismo del collante ideologico, ai post comunisti non è rimasta che la religione dell'antifascismo. Una specie di dottrina che usano per abbattere chiunque gli si opponga, in particolare Berlusconi. Contro il quale una parte della sinistra più colta, quella che scrive sui giornali, non esita a invocare il golpe. I difensori della democrazia per battere l'avversario sono pronti alla sospensione dei diritti democratici e invocano l'intervento di giudici, carabinieri e esercito, oltre che la chiusura del Parlamento e la sospensione dei diritti civili. È il ritorno alle origini di chi, nonostante i molteplici travestimenti, non si è mai rassegnato, né adeguato alla democrazia, preferendole la dittatura del proletariato. Cari Asor Rosa, Scalfari, Bocca e Colombo, ora che avete superato gli ottanta siete arrivati là dove eravate partiti. Alcuni di voi erano fascisti, altri non hanno fatto in tempo a diventarlo. Di certo, eravate e siete sinceri antidemocratici. Con voi l'Italia sarebbe un regime. Non indosseremmo la camicia nera bensì quella rossa, ma la sostanza sarebbe la stessa. La chiamate democrazia degli ottimati, cioè degli intelligenti, titolo che vi siete attribuiti autonomamente. Fortuna che in tutti questi anni tanti stupidi vi hanno mandato là dove meritate di andare. A quel paese.