L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Non conosco Ilda Boccassini, ma dai racconti di chi ha modo di frequentarla mi sono convinto che sia una specie di signorina Rottermayer con la toga. Inflessibile e arcigna, una volta che si è messa in testa un'idea non gliela levi neanche con le pinze: va avanti diritta per la sua strada, senza ascoltare ragioni o lasciarsi intenerire dai dubbi. Mi stupisce dunque l'esitazione di questi giorni, a proposito del processo immediato a Berlusconi. Meno di un mese fa, quando spedì un centinaio di agenti a perquisire le abitazioni delle dame di compagnia di Silvio, la pm del caso Ruby aveva dato a intendere che il giudizio sarebbe stato rapido, in quanto la Procura aveva raccolto tali prove da poter affrontare con sicurezza il procedimento. Addirittura alcuni giornali avevano ipotizzato un inizio delle udienze a febbraio, lasciando immaginare una sentenza per la primavera. Invece, al contrario delle aspettative, la decisione si fa attendere e dalla settimana scorsa, quando era prevista, è slittata a ieri, per poi essere rinviata a data da destinarsi. La giustificazione addotta dai pubblici ministeri è che bisogna verificare la posizione di un'altra habitué delle notti di Arcore, ma a detta dei cronisti che frequentano il Tribunale di Milano si tratta solo di un modo per prendere tempo e studiare meglio gli atti. Già, perché al di là della baldanza con cui è stata presentata l'accusa contro il presidente del Consiglio, molti aspetti restano da chiarire, a cominciare dalla tenuta del reato di concussione, espediente con cui la Procura del capoluogo lombardo è riuscita ad appropriarsi di un'inchiesta che non le spettava. Se, come ormai pare certo, il governo solleverà il conflitto di attribuzioni, chiedendo di spostare il procedimento al Tribunale dei ministri, la Boccassini rischia di vedersi sfilare l'indagine e di rimanere senza bunga bunga. Il trucco usato per passare al setaccio la vita privata del premier potrebbe dunque ritorcersi proprio contro chi lo ha escogitato e dunque urge correre ai ripari al fine di trovare un accomodamento. La soluzione studiata dai pm per evitare la débacle prevede la separazione del processo in due tronconi: da un lato la concussione, dall'altro l'induzione alla prostituzione. Così se resta senza il primo, Ilda può consolarsi con il secondo. Ma anche questa furbizia è dubbia: ammesso che il reato sia stato commesso, sarebbe avvenuto in un'altra provincia, fuori dalla competenza della Procura di Milano, la quale dovrebbe a questo punto rassegnarsi a passare la mano. Insomma, un bel pasticcio, da cui, per quanto si arrovellino, i pm non sanno come uscire, se non con le pive nel sacco. Ma a stagliarsi sull'inchiesta sono anche altre ombre, che riguardano proprio l'inizio della storia. Ad esempio non si capisce, essendo la concussione il reato inizialmente ipotizzato, perché i pm abbiano messo sotto controllo i telefoni delle ragazze di Arcore. Qual è il salto che ha permesso ai procuratori di formulare l'ipotesi di prostituzione e dunque di captare ogni sospiro delle signore buonasera di Silvio? La risposta per ora non c'è. Mistero pure su alcune carte dell'inchiesta, tra cui vi sarebbero quelle con i nomi di altri indagati e i verbali della minorenne marocchina con cui Berlusconi si sarebbe intrattenuto. Perché non sono fra le centinaia inviate in Parlamento? Eppure i magistrati quando allegano pagine su pagine di intercettazioni contenenti pettegolezzi inutili ai fini dell'inchiesta si giustificano sostenendo di esservi costretti dalla procedura e di non poter in alcun modo conservarle nel cassetto. Quale procedura, dunque, in questo caso permette di mantenere riservati certi verbali, mentre per altri la notifica avviene via Ansa? In attesa che qualcuno chiarisca i lati oscuri, non resta che prepararci alle primizie di un'altra indagine, questa volta aperta a Napoli ma sempre con Berlusconi nel mirino. Tanto ormai se non è bunga bunga è bongo bongo.