L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Caro Massimo Fini, confermo: sei antiberlusconiano da sempre. Probabilmente da prima che Berlusconi nascesse, di sicuro da prima che si buttasse in politica. In anticipo dunque su Marco Travaglio, che, per dirla con il garbo che lui userebbe nei confronti di altri, fino al '94 del Cavaliere era a libro paga. E perfino in precedenza rispetto a Furio Colombo, che invece era a libro paga di Agnelli e Silvio non se lo filava di striscio. Con te ricordo una discussione a proposito del Mundialito, il torneo calcistico disputato in Uruguay di cui la Fininvest negli anni Ottanta si assicurò i diritti. Non sopportavi che le partite se le fosse aggiudicate la tv privata in luogo di quella pubblica: secondo te il calcio era di tutti e dunque affare dell'emittente di Stato. E poi mi torna in mente il caso Lentini, che citi anche tu. In quell'occasione credo che la tua avversione nei confronti di Berlusconi abbia toccato l'apice, più di quanto abbiano potuto fare in seguito le mille leggi ad personam. Il Milan soffiò il calciatore al Toro e tu essendone un tifoso sfegatato gliela giurasti, rafforzando tutti i tuoi pregiudizi nei confronti dell'uomo. Del resto, uno che rimpiange la tv di Bernabei non poteva che detestare chi la tv commerciale l'ha inventata. Credo non ci sia un programma di Mediaset che ti sia andato giù da quando le reti del Biscione hanno preso ad irradiare le case degli italiani. Immagino che Drive In ti abbia fatto orrore. Di Striscia la notizia non penso che tu sia un estimatore e so per certo che se spettasse a te i talk show figliati da Maurizio Costanzo li chiuderesti in un baleno. Mi pare di ricordare che un po' di anni fa addirittura ti proponesti di fondare il “Partito degli Apoti”, ossia di coloro che non la bevono, con il compito di boicottare le trasmissioni simbolo dello strapotere televisivo. Per te il piccolo schermo è simbolo del degrado morale del nostro tempo, emblema del cretinismo imperante, tomba dei valori e dunque lo vorresti spegnere per sempre. Non solo a casa tua: ovunque. E chi lo tiene acceso, anzi chi lo fa o l'ha fatto come Berlusconi, non ti potrà mai risultare simpatico. E poi chi come te è giunto perfino a invocare il ritorno di Forlani, può accettare un tipo come il Cavaliere? Non era passato un anno dalla scomparsa della Dc e già pur di liberarti di Silvio diventato presidente del Consiglio sognavi la ricomparsa del «caro vecchio coniglio mannaro». A un Berlusconi che parlava direttamente e si faceva capire, tu preferivi i discorsi involuti e fumosi dell'ultimo segretario scudocrociato, probabilmente il peggiore, colui che, tremante come una foglia e con la bava alla bocca, si fece giustiziare da Di Pietro in un'aula di tribunale, senza nemmeno lo scatto d'orgoglio che ebbe Craxi, il quale seppur sul banco degli imputati seppe tener testa al suo accusatore. A te uno che abbia il coraggio di difendersi dalle accuse dei magistrati appare intollerabile: preferiresti chinasse il capo e lo offrisse al patibolo, proprio come fece Forlani, senza rivendicare le proprie ragioni o invocare attenuanti. Intendiamoci: il tuo non è un antiberlusconismo manicheo, tanto per intenderci alla maniera del Fatto quotidiano, giornale per cui pure lavori. A differenza di Travaglio, Padellaro e tutti gli altri che vi scrivono, tu non identifichi il Cavaliere con il Male assoluto, al punto che le vicende degli ultimi giorni ti fanno provare per lui perfino pena e tenerezza. A te non importa un baffo se il premier ha il vizio di sbottonarsi troppo spesso la patta e da anarco-libertario quale sei non ti va che la Procura frughi tra le lenzuola per incastrare la gente. Preferiresti che per mandare a casa il presidente del Consiglio si usassero altre vie, senza passare dalla camera da letto, perché la ragione per cui tu lo vuoi pensionare è un'altra e più profonda e riguarda l'essenza stessa di ciò che Berlusconi rappresenta e che lo fa amare da chi lo vota. Vedi, Massimo, il problema non è Berlusconi, il suo modo di fare o la sua prepotenza patologica, come la definisci tu. Il problema è che tu detesti la modernità impersonata dal Cavaliere, nel calcio come nella politica. Che un quarto di secolo fa abbia fatto scendere in campo lo spettacolo, trasformando una squadra perdente in una vincente, rivoluzionando il gioco di quegli 11 ragazzotti che ogni domenica inseguivano la palla, a te fa semplicemente schifo. Lo si capisce dalle tue prime righe, quando spieghi che venticinque anni fa, all'Arena di Milano, con contorno di saltimbanchi, Berlusconi iniziò l'americanizzazione del calcio e quella definitiva del nostro Paese. Allo stadio come in parlamento lui ha rappresentato la novità, il cambiamento. E credo che per te non ci sia reato peggiore: essendo tu autore di un manifesto contro la modernità, l'idea di trasformare l'Italia in una piccola America, svecchiarne i riti e l'immagine, avvicinarla all'Occidente, deve sembrarti davvero insopportabile. Come certe persone, tu non guardi avanti ma indietro, rimpiangendo quello che è stato e trovandolo sempre migliore di quello è, anche se ciò non corrisponde al vero. Non ti devi comunque preoccupare: di questo passo, quando il Cavaliere non ci sarà più e qualcuno ne avrà preso il posto, vedrai che lo troverai migliore di quanto ora ti appaia. Probabilmente come ti mancò la mediocrità del coniglio mannaro, alla fine ti mancheranno le gaffe, le imprudenze e anche gli errori di Berlusconi. Forse non lo rimpiangerai spontaneamente. Ma sarà chi ne prenderà il posto a fartelo rimpiangere.