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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Mesi fa avevo annunciato che entro l'anno ci sarebbero state delle novità per Libero. Qualche lettore immaginando che si trattasse dell'edizione del lunedì mi aveva chiesto conferma e io, non potendo rivelare cosa bollisse in pentola, avevo preso tempo. Ora posso svelare il segreto: no, la novità non è il settimo numero, ma il ritorno di Feltri, come l'Editore ha comunicato ieri. Vittorio se n'era andato nell'agosto dell'anno scorso per assumere la direzione de Il Giornale, con l'obiettivo di riportare in equilibrio i conti del quotidiano di via Negri. Una volta compiuta la missione, Feltri, un bergamasco che ama le sfide quasi quanto i gatti, aveva voglia di altro. E allora eccolo qui a far l'editore di Libero, insieme con me. Lui, appena gli sarà sciolto il bavaglio imposto dall'Ordine dei giornalisti, farà il direttore editoriale e, ovviamente, scriverà. Io continuerò a fare quel che faccio. Entrambi però saremo anche azionisti della nostra testata e, avendone ricevuto la gestione non solo giornalistica ma anche editoriale, saremo ancora più indipendenti. Insomma, dal 22 dicembre Libero sarà più forte. Alle sue firme - Giampaolo Pansa, Mario Giordano, Filippo Facci, Giampiero Mughini, Antonio Socci e tante altre ancora - si unirà quella straordinaria di Vittorio. Una formidabile squadra di penne anticonformiste, che non ha alcuna reverenza nei confronti della sinistra ma che non lesina critiche neppure nei confronti del centrodestra. Insieme penso riusciremo a fare di Libero un giornale più brillante ed efficace, sapendo di dover rispondere per le nostre scelte solo ed esclusivamente ai lettori. In fondo, ogni giornalista in cuor suo prima o poi sogna di essere padrone di sé stesso, senza condizionamenti, neanche quelli deboli di editori che ti danno la più ampia autonomia. Ecco, noi a Libero stiamo per coronare quel sogno. Saremo padroni di noi stessi e se sbaglieremo lo faremo in proprio, senza bisogno che nessuno ci aiuti a farlo. E se qualcuno avrà da ridire a proposito dei nostri articoli, i “mandanti” li dovrà cercare in redazione e non altrove. Così la finiranno di dire che siamo portavoce di qualcuno: la sola voce che portiamo è la nostra. La notizia del ritorno di Feltri in veste di direttore editoriale ed editore ovviamente ha sorpreso tutti, ma superato lo stupore sono cominciati i dubbi. Chi comanderà tra Feltri e Belpietro? E soprattutto: quanto dureranno i due senza pestarsi i calli? Non so quanto interessino ai lettori i rapporti tra me e Vittorio, ma per fugare ogni ombra voglio raccontare alcune cose. Conosco Feltri più o meno da quanto conosco mia moglie, vale a dire quasi trent'anni. Lui era già caposervizio del Corriere della Sera, io praticante di un piccolo giornale di provincia. Il quotidiano si chiamava Bergamo Oggi e il suo direttore, per contrasti con l'editore, ebbe la brillante idea di fondare un'altra testata, portandosi via tipografi e giornalisti. L'unico a non seguirlo fui io. In una redazione deserta rimasi ad aspettare per due giorni che l'editore si decidesse a nominare il nuovo direttore a alla fine arrivò Feltri. All'inizio credo di essergli stato cordialmente sulle balle, ma dopo un mese mi promosse suo vice, anche se in base al contratto non avrei potuto impartire ordini neppure all'usciere. Ma Vittorio è così, uno che salta le convenzioni e va al sodo. E la sostanza è che in quel piccolo giornale di provincia e con una redazione di ragazzi che prima d'al - lora non avevano mai fatto i cronisti ci divertimmo come matti. Esperienza poi ripetuta in tante altre testate, dall'Europeo al Giornale. All'Indipendente, dove arrivammo un soffio prima che lo chiudessero, ci mettemmo a sfottere parlamentari e ministri della prima Repubblica. Convinti che ormai per il quotidiano di via Valcava non ci fosse più nulla da fare, alla sera ci chiudevamo nel mio ufficio sparando un titolo più irridente dell'altro, facendoci beffe di chiunque. Il giorno in cui Scalfaro venne nominato presidente della Repubblica, ricordo che pubblicammo in prima pagina il brano di un manuale di psicologia in cui il Campanaro era citato come un caso clinico, per i problemi di relazione con l'altro sesso. Ovviamente sotto il titolo: «Ecco chi è il nuovo capo dello Stato». Poi, dopo un po', ognuno di noi è andato per la propria strada. Io a dirigere il Tempo di Roma, Vittorio invece, lasciato il Giornale, a Libero. Non ci fu litigio, nessuna polemica: solo la voglia di fare altro. E ora, ora che sono passati un certo numero di anni, abbiamo voglia di ricominciare e di ritornare a divertirci. Non ci importa di chi sarà il numero uno o il numero due, ma solo di mettere insieme le forze. In fondo, a cantare fuori dal coro in questo Paese siamo pochi. Se uniamo la voce forse riusciremo a farci sentire di più e a sovrastare quella degli altri. In fondo, è quello che molti lettori di hanno chiesto e dunque, eccoli accontentati.

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