Pier Ferdinando Casini, la vergognosa piroetta: da "spariamo agli scafisti" a "accogliere è un'esigenza"
Correva l'anno 1999 quando Massimo D'Alema era presidente del Consiglio e Rosa Russo Jervolino ministro dell'Interno, entrambi favorevoli a difendere il Kosovo finanche con le bombe. E, mentre i nostri caccia incendiavano Belgrado, in patria c'era un altro parlamentare tutto casa e chiesa che reclamava il diritto di colpire duramente gli scafisti, quelli che diedero inizio al vero esodo della popolazione albanese. «Il coro degli ipocriti - disse a Fabio Torriero nel corso di un'intervista per il Borghese allora diretto da Vittorio Feltri -, le litanie dei farisei, la doppia morale, i luoghi comuni sparsi a piene mani non mi interessano, sono reazioni patetiche da bottega. È il solito circo. Se ho contro parte del Palazzo, la gente è con me». Bè, sapete chi era a volerci difendere con ogni mezzo dall'attacco degli scafisti che, con la cosiddetta «ondata invisibile», stavano trasportando sulle nostre sponde decine di migliaia di albanesi? Niente di meno che Pierferdinando Casini, lo stesso ragazzotto democristiano nato e cresciuto a Bologna sotto l'ala protettrice del ministro Antonio Bisaglia e poi, dopo la sua scomparsa, passato a collaborare con Arnaldo Forlani, in quegli anni potente segretario della Democrazia cristiana. «Gli scafisti - ripeteva - non meritano alcun perdono. Del resto, la risposta armata delle nostre istituzioni è prevista dalle stesse leggi dello Stato. Non siamo mica forcaioli, siamo garantisti. Ma questo non significa rassegnazione di fronte al crimine. Gli scafisti hanno dichiarato guerra allo Stato, dunque, spariamo agli scafi. Il Kosovo vale più della Puglia o dell'Italia?». Leggi anche: Lo schiaffo di Casini ai big del Pd Così una ventina d'anni fa. Poi, iniziando a fare il gioco dell'oca, Casini si allea con la Lega Nord di Bossi, il Movimento sociale di Fini e la nuova Forza Italia di Berlusconi, preoccupato com'è che l'ala sinistra democristiana possa finire per andare a braccetto con i post-comunisti di Occhetto. Con Mastella fonda il Ccd, col quale naviga a vista per un bel po', finché il Polo delle Libertà non cede il passo all'Ulivo di Romano Prodi. E Casini che fa? Entra in alleanza col centrosinistra. Ma sempre pronto a compiere il salto della quaglia per ritornare nella sua coalizione di centrodestra e diventare presidente della Camera. Nel 2013, però, con le insegne del nuovo Udc, entra nella coalizione di Monti e diventa senatore. L'idillio è di breve durata. Dopo l'Unione di centro fa nascere l'Italia insieme, con cui sostiene il governo di Enrico Letta e stringe alleanza col nuovo centrodestra di Alfano. Naturalmente, modificando di volta in volta anche le sue opinioni sulla grande immigrazione che scombussola il Paese. Infine, con l'entrata in scena del Movimento 5 Stelle, Casini decide di sostenere anche il governo Renzi e poi quello di Gentiloni. Finendo per partecipare alla fondazione di una lista Civica popolare in appoggio del Pd, che lo candida a Bologna. Conclusione: dopo 35 anni di permanenza in Parlamento, l'uomo che diceva di voler sparare agli scafisti per fermare l'«ondata invisibile» degli albanesi; che nel 2016 diceva: «Se all'inizio dell'estate sbarcano 13mila migranti, allora dobbiamo prepararci a un'invasione», ora non fa mistero a dichiararsi favorevole finanche allo ius soli e a sostenere in un'intervista al Giornale di Sicilia che «accogliere è un'esigenza non solo morale ma anche economica». Si può essere così trasformisti solo per un posto al sole? Mah! di Nicola Apollonio