I ministri Pdl lasciano«Ma è l'ultimo favore»
La decisione del Cav coglie di sorpresa gli uomini del centrodestra al governo e riapre la faida tra falchi e colombe. I filo-governativi pronti a sostenere il Letta bis
A casa di Angelino, nel cuore dei Parioli, va in onda il dramma dei ministri-non-più-ministri. La delegazione governativa del Popolo della libertà si riunisce da Alfano mentre altrove, ad Arcore, si decide il suo destino. E sono una doccia fredda le indicazioni che Silvio Berlusconi dà al vice premier e agli altri: l'esecutivo è venuto meno al patto fondativo, ha aumentato l'Iva, dovete dimettervi. Boom. C'è chi racconta che il vice premier, Quagliariello, Lupi, Di Girolamo e Lorenzin siano rimasti di stucco nell'apprendere l'accelerazione del Cavaliere. Si aspettavano tutt'altra giornata. E tutt'altra reazione. Speravano forse che Silvio, dopo le intemerate dei giorni scorsi, avrebbe tirato il freno a mano per permettere alle colombe di lavorare a una ricomposizione. Tale e quale: Berlusconi procede spedito verso la crisi. Ma soprattutto riapre la ferita nel Pdl tra falchi e colombe. In questo sabato doloroso, per il partito berlusconiano, se ne ha anche una dimensione geografica. Con Santanchè, Bondi, Verdini, Ghedini seduti nella situation room, ad Arcore. E i filogovernativi ad attendere a Roma che si deliberi. Decisioni che non li vedono coinvolti, malgrado riguardino proprio loro. E sia. I ministri obbediscono alla scelta del leader. Le dimissioni. È Alfano a comunicare lo strappo a Enrico Letta. Tuttavia si rifiutano di sottoscrivere un documento di dura accusa alla sinistra e al premier che il Cavaliere prova a mettergli sotto il naso, in attesa della firma. Diramano un loro comunicato, i ministri oramai ex. «A seguito dell'invito del presidente Berlusconi a dimetterci dal governo per le conclusioni alle quali il consiglio dei ministri è giunto sui temi della giustizia e del fisco, non riteniamo vi siano più le condizioni per restare nell'esecutivo dove abbiamo fin qui lavorato nell'interesse del Paese e nel rispetto del programma del Popolo della Libertà». Poi arriva la parte dal interpretare: «Rassegniamo le dimissioni anche al fine di consentire, sin dai prossimi giorni, un più schietto confronto e una più chiara assunzione di responsabilità». In privato, uno di loro fa capire che le dimissioni erano «inevitabili» per non passare, nell'immaginario generale, come quelli che rimangono attaccati alle poltrone. Ma c'è tanta contrarietà verso Berlusconi «spinto dai falchi verso il baratro». Sempre uno degli ex ministri fa sapere che l'addio al dicastero non significa automaticamente la crisi di governo. E che, anzi, alcuni tra gli esponenti del governo defenestrati potrebbero mettersi alla testa della fronda azzurra. Tanto numerosa da permettere il varo di un Letta bis. Non che sia venuta meno la solidarietà al Cavaliere per le sue vicissitudini personali. Ma è la «strategia suicida» imboccata a causa dei «cattivi consiglieri» che fa arrabbiare le colombe. E poi ci sono le tentazioni. Quella, per esempio, di mollare al suo destino un leader in difficoltà, con un piede fuori dal Palazzo e l'altro che rischia di finire dentro a qualche patria galera. Se ne discute. Se ne discuterà nei prossimi giorni quando, specie al Senato, gli azzurri saranno sollecitati da pressioni enormi. Da un lato la certezza di una legislatura che va avanti e dall'altro il buio di una crisi al seguito di un Berlusconi in procinto di essere affidato ai servizi sociali. Eppure le colombe non disperano. Vedono ancora un margine strettissimo per ricomporre la situazione. Oggi chiameranno il capo per gli auguri di compleanno. Sperando che il suo umore sia un po' migliorato. di Salvatore Dama