Mediaset, la Consulta respinge il legittimo impedimento di Berlusconi
Caso Mediaset, la consulta respinge il conflitto di attribuzione tra poteri sollevato da Palazzo Chigi. Palla alla Cassazione
Lo vogliono far fuori. Come previsto, arriva il "no" al legittimo impedimento di Silvio Berlusconi, all'epoca dei fatti presidente del Consiglio, a partecipare all'udienza del 1° marzo 2010 del processo Mediaset. Con la decisione, la Corte Costituzionale respinge il conflitto di attribuzione tra poteri sollevato da Palazzo Chigi nei confronti del tribunale di Milano, dove allora si svolgeva il procedimento. Per il processo Mediaset il leader del Pdl è stato condannato in primo grado e in appello a 4 anni di reclusione (3 dei quali coperti da indulto) ma, soprattutto, a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Ora la palla passa alla Cassazione. Le motivazioni - Secondo la Corte, "spettava all'autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all'udienza penale del 1° marzo 2010 l'impegno dell'imputato Presidente del Consiglio dei ministri", Silvio Berlusconi, "di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno", che invece "egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all'udienza". A questa decisione, spiega Palazzo della Consulta, "la Corte è giunta osservando che, dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall'imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), nè circa la necessaria concomitanza e la 'non rinviabilita” dell'impegno, nè circa una data alternativa per definire un nuovo calendario". Come detto, ora il processo Mediaset attende il vaglio della Cassazione: tra la fine di quest'anno e l'inizio del prossimo sarà celebrato il terzo grado di giudizio nei confronti del Cavaliere. Cav: "Accanimento senza eguali" -"Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura ormai da vent'anni, e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un Italia più giusta e più libera", ha spiegato Berlusconi in una nota diffusa subito dopo la decisone della Consulta, che "va contro il buon senso e tutta la precedente giurisprudenza". Secondo il Cavaliere, "continua un accanimento giudiziario nei miei confronti che non ha eguali nella storia di tutti i Paesi democratici". Il leader del Pdl, però, spiega che il governo Letta non è a rischio: "Dalla discesa in campo a oggi - premette -, la mia preoccupazione preminente è sempre stata ed è il bene del mio Paese. Perciò anche l'odierna decisione della Consulta non avrà alcuna influenza sul mio impegno personale, leale e convinto, a sostegno del governo né su quello del Popolo della Libertà". Il Pdl fa scudo attorno al Cav - Ma è tutto il Pdl a fare scudo attorno al leader del partito. I ministri azzurri del governo Letta hanno annunciato una visita al Cavaliere, una sorta di conclave sul futuro del governo. Quindi Renato Brunetta, che dichiara: "Siamo infatti all'assurdo di una Corte costituzionale che non ritiene legittimo impedimento la partecipazione di un presidente del Consiglio al Consiglio dei ministri. Dinanzi all'assurdo, che documenta la resa pressochè universale delle istituzioni davanti allo strapotere dell'ingiustizia in toga, la tentazione sarebbe quella di chiedere al popolo sovrano di esprimersi e di far giustizia con il voto". Dello stesso tenore le parole di Maurizio Gasparri, - così come quelle di Schifani, Bondi, Cicchitto e la Biancofiore - che si dicono "sconcertato" per la decisione della Consulta. Ghedini e Longo - I più duri sono però i legali del Cav, Niccolò Ghedini e Piero Longo che in una nota, diramata subito dopo il verdetto, sottolineano come "i precedenti della Corte Costituzionale in tema di legittimo impedimento sono inequivocabili e non avrebbero mai consentito soluzione diversa dall'accoglimento del conflitto proposto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri". E aggiungono: "Evidentemente la decisione assunta si è basata su logiche diverse che non possono che destare grave preoccupazione". Si legge ancora: "La preminenza della giurisdizione rispetto alla legittimazione di un governo a decidere tempi e modi della propria azione appare davvero al di fuori di ogni logica giuridica". Di contro la decisione - hanno aggiunto i due avvocati - ampiamente annunciata da giorni da certa stampa politicamente orientata, non sorprende visti i precedenti della stessa Corte quando si è trattato del presidente Berlusconi e fa ben comprendere come la composizione della stessa non sia più adeguata per offrire ciò che sarebbe invece necessario per un organismo siffatto", hanno concluso