Riforma del Senato, tutti contro Matteo Renzi
La rivolta era prevedibile. Appena il tema della riforma del Senato, nelle ultime ore, è schizzato in cima alla lista delle priorità di Matteo Renzi, è partito il fuoco incrociato. Tra pochi minuti inizierà il Consiglio dei ministri che partorirà la riforma di Palazzo Madama, un testo che, considerata l'opposizione incrociata, difficilmente riuscirà a restare nel perimetro che verrà stabilito dal governo. Si diceva: una rivolta prevedibile. Forse, meno semplice da prevedere, era l'intensità di questa rivolta. A sinistra - In prima fila c'è il presidente del Senato, Pietro Grasso, che si è subito messo di traverso ribadendo la necessità che Palazzo Madama resti elettivo. Dunque, cambiare tutto per non cambiare nulla. Il premier ribatte affermando di non avere alcuna intenzione di mollare, e aggiunge che se non porterà a casa la riforma abbandonerà Palazzo Chigi e la politica. Una promessa, quest'ultima, già sentita da parte di Matteo. Grasso, esponente di spicco del Pd, lo stesso Pd di Renzi beninteso, è forte dell'appoggio di ampi settori del partito stesso. Si va dalla vecchia guardia da sempre ostile a Renzi fino a alle nuove leve, come Pippo Civati, che tuona: "Nessuna forzatura sulle riforme costituzionali". Quindi Giuseppe Fioroni e la sua corrente cattolica: "Il Pd - spiega Fioroni - non può richiamare il presidente del Senato agli ordini". In molti - sostanzialmente tutti a parte i fedelissimi dell'ex sindaco di Firenze - fanno quadrato attorno a Grasso e a Palazzo Madama. Gli intellettuali - Ai democratici, poi, si aggiungono anche gli intellettuali d'area. Si parte dall'onnipresente Gustavo Zagrebelsky, che parla senza mezzi termini di "svolta autoritaria dell'esecutivo". Il costituzionalista ha poi lanciato la canonica raccolta firme contro il ddl che dovrebbe essere partorito dal Consiglio dei ministri. Con Zagrebelsky si schierano i grillini (l'appello è stato rilanciato dal blog di Grillo), e quest'asse riesce anche a far riavvicinare Stefano Rodotà al Movimento 5 Stelle. Dopo essere stato un anno fa prima candidato al Colle e poi definito uno zombie, ecco che Rodotà spunta tra i nomi che sottoscrivono l'appello contro la riforma. Tra loro, anche Salvatore Settis, Corrado Stajano, Nando dalla Chiesa e Barbara Spinelli. Tutti contro Matteo - E' poi curioso il fatto che tra i firmatari dell'appello spunti anche Maurizio Landini, il segretario della Fiom, il "rosso" che i più vedevano vicino a Renzi, con il quale c'è (c'era?) un particolare feeling in chiave anti-Camusso. Anche Landini, insomma, si mette di traverso al premier, e la "guerra" contro la Camusso pare destinata ad essere prematuramente archiviata. Un fronte trasversale, eterogeneo, quello contrario alla riforma, a cui si aggiungono anche gli altri partiti. Per esempio Gaetano Quagliariello avverte: "Riformare il bicameralismo non significa abolire il Senato". Frena pure Mario Monti, al pari di Ncd alleato di Renzi con Scelta Civica: "Il premier non trasformi il giusto senso di urgenza in precipitazione". Quindi Linda Lanzillotta, sempre di SC: "Siamo contrari a un Senato che rappresenti solo la politica regionale". Ma anche Forza Italia storce il naso (per esempio, per Rotondi, la riforma è "inaccettabile"). Nel calderone, infine, ci entra anche la dichiarazione di Matteo Salvini, il segretario leghista: "Se il premier vuole risparmiare, decida di abolire le prefetture". Tensione nel governo - A dire no all'abolizione di palazzo Madama c' è anche il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini che entra a gamba tesa nel dibattito sulle riforme: "È un po' inconsueto che sia il governo a presentare una proposta di legge su questo tema - puntualizza Giannini in un'intervista a Radio Città Futura - . Serve che il Parlamento ne discuta per ritoccare e migliorare alcuni aspetti". Un'altra grana per Matteo - L'esponente di Scelta Civica invita il premier a non avere fretta e sottolinea: "Non credo che il verbo aspettare appartenga al vocabolario del presidente del Consiglio". Poi aggiunge: "C'è la necessità di avere qualche momento di riflessione e maturazione in più". Insomma, meglio "non farne una questione di calendario" e "non confondere l'irrinunciabile dibattito parlamentare con la manfrina di chi non vuole cambiare le cose". Insomma adesso la spina nel fianco di Renzi è a palazzo Chigi. E se il partito della Giannini, seguendo anche le indicazioni di Mario Monti dovesse dire no alla riforma quando approderà in Aula, davvero il premier rischia di non avere i numeri per farla digerire a palazzo Madama.