Mario Monti, il suo partito non esiste più: Scelta Civica si divide ancora
È andata malissimo, si sono divisi ancora una volta - tre da una parte e tre dall' altra, per non smentirsi - ma poteva andare persino peggio. In fondo alcuni di loro sono ancora politicamente vivi, sopravvissuti a Mario Monti e pronti a inseguire quell' agognato 3% che significherebbe l' entrata nel prossimo parlamento. Stavolta agganciati alla locomotiva giusta, o almeno così spera chi rimane in ciò che resta di Scelta civica: il centrodestra dell' inossidabile Silvio Berlusconi. La storia se l' erano immaginata molto diversa. Era il 4 gennaio del 2013 il giorno in cui l' allora presidente del consiglio presentò il simbolo del suo partito: «Con Monti per l' Italia - Scelta civica». Dopo pochi minuti già contavano quattromila follower su Twitter. Entusiasmo alle stelle, i sondaggisti sparavano percentuali a due cifre. Il 24 febbraio la frenesia era già scemata: uscirono dalle urne con l' 8,3% dei voti - pur sempre quarto partito nazionale - e 39 deputati eletti: oggi sembrano un esercito, ma allora, rispetto all' ambizione di prosciugare Forza Italia, furono poca cosa. Monti impiegò poco tempo a disamorarsi. Soprattutto fecero presto i suoi parlamentari a stufarsi di lui e della sua leadership inesistente. Quando l' ex premier lo lascia nell' ottobre del 2013, nel partito c' è già la guerra tra bande: liberisti, riformisti, cattolici sociali e cattolici liberisti, tutti contro tutti. «Non mi occuperò più del partito che loro stessi mi hanno chiesto di fare», è il saluto sdegnato dell' uomo in loden verde. Alle Europee del 2014 Scelta civica è già un ectoplasma e rimedia appena lo 0,72% dei voti. Come topi dalla nave che affonda, gli eletti scappano. Non dal Parlamento, s' intende, ma dai gruppi parlamentari di Scelta civica. In cerca di un futuro politico altrove, sperando di indovinare il posto giusto. Nel febbraio del 2015 se ne va anche Monti, destinazione gruppo misto: è senatore a vita, per lui il problema della ricandidatura non si pone. Oggi i deputati rimasti sono sei, in disaccordo tra loro. Il segretario Enrico Zanetti e il presidente Mariano Rabino, appoggiati dal resto della direzione, hanno scelto l' approdo nel centrodestra, che è anche la coalizione piazzata meglio nei sondaggi. Renato Brunetta li accoglie a braccia aperte, per conto di Berlusconi: «Siamo favorevoli alla formazione di una quarta o quinta gamba, cattolica e liberale, del centrodestra unito, per vincere e tornare al governo del paese». Dovrebbero fare squadra con l' ex alfaniano Enrico Costa, con Idea di Gaetano Quagliariello, con il movimento dell' ex ministro siciliano Saverio Romano, con i "tosiani" di Fare e forse, chissà, anche con Raffaele Fitto e i suoi. Sembrerebbe la fine del tormento, l' approdo in una baia sicura. Ma non lo è. Perché in una lista satellite, distinta da quella degli azzurri, il rischio è non prendere quel 3% dei voti necessario a entrare in parlamento e di svolgere quindi il semplice ruolo di "lista civetta". E perché non tutti condividono il nuovo percorso: ai parlamentari Ernesto Auci, Angelo D' Agostino e Valentina Vezzali l' abbraccio col Cavaliere non piace. Scelta civica esce di scena spaccandosi per l' ultima volta. Unica consolazione, l' approccio tardivo del Pd, tramite il portavoce Matteo Richetti, che ieri ha chiamato a far parte del centrosinistra «l' area liberal democratica che in questa legislatura ha avuto un ruolo importante, l' area di Scelta civica e del ministro Calenda». Profferta che Rabino respinge, perché arrivata fuori tempo massimo: «Caro Richetti, peccato riconoscere l' importanza di Scelta civica così tardi, dopo anni di silenzio totale del Partito democratico. Alea iacta est». di Stefano Re