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San Marino, Luciano La Pietra: la strana evasione del pedofilo protetto dagli amici di Romano Prodi

Andrea Tempestini
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A San Marino riesplode il caso del pedofilo amico dei prodiani. Luciano La Pietra, ex autista della Ausl di Rimini e, racconta chi lo ha conosciuto, attivista dell'Ulivo, è morto dieci anni fa, dopo essere stato condannato definitivamente a sei anni e mezzo di reclusione per sottrazione di minori, atti di libidine e violenza sessuale su un undicenne. In Italia il processo, a causa della sua fine prematura, si fermò al primo grado con una pena di 9 anni. Alcuni dei principali collaboratori dell'ex premier Romano Prodi lo difesero sino all'ultimo e lo accompagnarono alla sepoltura. Il vescovo di San Marino e Montefeltro gli spedì un biglietto di auguri in carcere e i giornali dell'epoca scrissero che lo stesso Prodi gli inviò un libro di economia. Il 17 giugno del 2000 evase dal carcere della Repubblica del Monte Titano e quella fuga è ancora oggi avvolta dal mistero. Ieri un esposto presentato, con file audio in allegato, presso il tribunale di San Marino da Giuseppe Roberti, banchiere e politico italiano di rito andreottiano, ha riacceso le polemiche. Ex professore di lettere, ex presidente della Banca commerciale della piccola Repubblica, Roberti è indagato per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e ad altri reati in una specie di Tangentopoli sammarinese. L'uomo da tempo denuncia presunte irregolarità nelle indagini, in particolare da parte del commissario della legge, il nostro pm, Alberto Buriani. Nell'esposto si parla anche di lui e del presunto aggiustamento del procedimento sull'evasione di La Pietra. Scrive Roberti: «Dell'inchiesta sull'evasione si occupò anche il dottor Buriani il quale, con decreto del 2006, dispose l'archiviazione per prescrizione, ma con lo stesso decreto sollecitava l'apertura di un separato procedimento penale a carico del dottor Gabriele Gatti (all'epoca dell'evasione Segretario di Stato agli Affari esteri) per il reato di falsa testimonianza nell'ambito dell'inchiesta sull'evasione del predetto La Pietra». A questo punto, Gatti, venuto a conoscenza delle intenzioni del magistrato, avrebbe chiesto allo stesso Roberti di intercedere presso Buriani, di cui era amico, per la modifica della decisione. «Il dottor Buriani si rese disponibile a incontrare Gatti. L'incontro avvenne in mia presenza verso la fine del mese di luglio del 2006» e la riunione «si concluse con l'accordo che il dottor Alberto Buriani avrebbe cancellato, come avvenne, la parte del decreto con la quale richiedeva l'incriminazione di Gatti per falsa testimonianza in relazione a una scottante vicenda come quella». Gatti in quegli anni era uno degli uomini più vicini a Prodi nella Repubblica del Monte Titano e a lui Roberti dedica un altro aneddoto. L'ex segretario di Stato avrebbe confidato di aver «tappato la bocca» al pm riminese che lo stava indagando per calunnia, vantando la sua «solidissima amicizia» con il Professore. Il magistrato «a dire del Gatti, udito il nome di Romano Prodi, avrebbe sospeso l'interrogatorio e invitato l'indagato a fumarsi una sigaretta e a prendersi un caffé (...) il tono colloquiale tra inquisitore e inquisito divenne immediatamente confidenziale» e produsse «l'archiviazione di ogni contestazione». Al fianco di La Pietra scese in campo anche il bolognese Giovanni Pecci, per molti anni braccio destro di Prodi ed ex direttore centrale di Nomisma, il pensatoio fondato dal Professore. All'epoca era ambasciatore di San Marino presso l'Unione europea (l'amico Romano era presidente della Commissione Ue) e durante il procedimento rinunciò per protesta all'incarico diplomatico. Dopo il processo lampo parlò di «una sentenza già scritta». Un altro fedelissimo dell'ex premier, Piero Scarpellini, già «consulente non pagato dell'ufficio del consigliere diplomatico della Presidenza del Consiglio per i Paesi africani» con Prodi a Palazzo Chigi, si adoperò per convincere il noto avvocato sammarinese Alvaro Selva a difendere La Pietra. In cambio promise ricchi incarichi professionali da parte dell'arcipelago di aziende riconducibili al circuito prodiano. Selva inizialmente accettò, ma dopo che La Pietra tornò a molestare la sua vittima, rinunciò alla difesa. L'avvocato di parte civile Gianna Burgagni ricorda la passione con cui Pecci & C. appoggiarono La Pietra: «Il processo fu difficile perché era palpabile l'ingerenza della politica e della Chiesa. Una nota comunità di recuperò si offrì di accoglierlo nonostante la tipologia di reato. Ricordo un ambasciatore, il bolognese Pecci, testimoniare a favore di La Pietra. Certamente c'era da chiedersi come mai tanti si interessassero a La Pietra anche perché era accusato di abusi su due minori». In particolare un ragazzo sarebbe stato vittima di toccamenti (i primi risalirebbero a quando faceva la quinta elementare), costretto a masturbazioni reciproche e in un caso avrebbe subito un tentativo di penetrazione. Il caso esplose nel 1999 grazie a una denuncia dei servizi sociali e La Pietra venne arrestato. Nove mesi dopo riuscì a scappare insieme con un compagno dalla prigione in cui erano rinchiusi. Francesca Michelotti, allora titolare della Segreteria di Stato per gli Affari Interni, dichiarò: «Non si capirà mai come abbia fatto La Pietra, all'epoca uomo corpulento di circa 90 kg, a passare attraverso una finestrella con gli “spunzoni” delle sbarre tagliate senza procurarsi nemmeno un graffio. Né come i due fuggiaschi abbiano potuto procurarsi i seghetti, metri e metri di lenzuola e nastro isolante per annodarle e la rete metallica utilizzata a mo' di scala per arrivare alla finestrella». Recentemente Michelotti è tornata sull'argomento: «La Pietra godeva di insospettabili protezioni, in sua difesa si erano schierati un vescovo, un ambasciatore, personalità con relazioni importanti, addirittura un autorevole giornale nazionale italiano gli aveva dedicato un articolo denunciando chissà quali violazioni dei diritti della difesa (...). Poi scappò e nella seduta del Congresso di Stato immediatamente successiva Gabriele Gatti non solo minimizzò l'accaduto, ma ammise candidamente di avere saputo in precedenza dei suoi propositi di fuga dei quali si era ben guardato dall'avvisare la sottoscritta». Nel 2006 il caso venne riaperto a causa di un esposto anonimo inviato alla Gendarmeria sammarinese. La fonte invitava gli investigatori a verificare «l'improvviso cambio di turno cui fu “invitato” il direttore del carcere alla vigilia dell'evasione e una presunta, e altrettanto improvvisa, disponibilità economica di cui avrebbe goduto uno dei “custodi”». Come detto, Buriani decise di far archiviare il procedimento. Un anno prima La Pietra era morto per una leucemia fulminante mentre era ai domiciliari in attesa del processo d'appello e il suo corpo era stato cremato prima ancora che la notizia del suo decesso finisse sui giornali. Una fretta che insospettì soprattutto quelli che sostenevano che La Pietra fosse pronto a rilasciare dichiarazioni esplosive alla procura generale di Bologna su un presunto giro di pedofili dai cognomi pesanti dedito alle battute di caccia nei Balcani. Ma le doppiette sarebbero state solo una copertura per un'attività venatoria di ben altro genere. di Giacomo Amadori

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