Silvio Berlusconi, la sua colpa è dire troppe verità sugli errori dei pm
Certa magistratura costringerebbe a difendere Berlusconi anche se mancasse del tutto la voglia di farlo: perché la giustizia ad personam a cui lo sottopongono regolarmente smaschera un'acrimonia peraltro non necessaria, rivelatrice di una determinazione ostinata cui nessun giudice ormai osa sottrarsi. Berlusconi è un fortilizio conquistato, vinto, e ogni episodio che lo riguarda non ci parla solo dell'accanimento cui è sottoposto lui, che pure è Berlusconi: ci parla di ciò che riserverebbero a ciascuno di noi, che non siamo niente. Le notizie le avete viste: la prima è che la procura di Napoli, lunedì, deciderà eventuali iniziative legate alle frasi «contro la magistratura» pronunciate da Berlusconi nell'udienza dell'altro ieri: una decisione che in teoria potrebbe fargli revocare l'affidamento in prova e accompagnarlo direttamente in galera; la seconda notizia riguarda il calendario del processo d'Appello per il caso Ruby, altro record mondiale che oltretutto già apparteneva a Berlusconi: la sentenza è già prevista per il 18 luglio, il processo, cioè, si dovrebbe giocare in sole tre udienze e cioè 11 luglio (requisitoria dell'accusa) e poi 15/16 luglio (arringhe difensive) con sentenza appunto il 18, questo per rispettare un confine procedurale cui i magistrati tengono assai: le vacanze, le ferie, quella pausa tribunalizia che in altri paesi neppure esiste. Liquidiamo subito la prima faccenda, quella del presunto oltraggio alla corte durante il processo contro Walter Lavitola: una violazione obsoleta, depenalizzata e contestata, in passato, soprattutto agli imputati di terrorismo che alzavano il pugno chiuso. In pratica Berlusconi, dopo un'ora e mezza di interrogatorio in aula, ha detto così: «La magistratura è incontrollata e incontrollabile, è irresponsabile e gode di impunità piena». E qui verrebbe voglia di osservare che è semplicemente la verità, che è «incontrollabile e irresponsabile» proprio tecnicamente, come previsto dalla Costituzione e come nessun referendum sulla responsabilità civile dei giudici è mai riuscito a scalfire. Ma andremmo a impelagarci in una disputa non necessaria: forse basterebbe chiedersi se esista ancora la libertà di opinione (e di critica) o se a essa sono sottratti i cittadini in giudicato, meglio: se a margine dell'oltraggio alla corte, appunto depenalizzato, sia stato reintrodotto il reato di lesa maestà. C'era da chiederselo anche nel marzo scorso, quando il pm Ilda Boccassini parlò di «oltraggio, vilipendio, disprezzo della corte» dopo che Berlusconi e Niccolò Ghedini si erano detti impegnati in Parlamento e impossibilitati a presenziare in udienza. Ora ci risiamo: la critica di Berlusconi (perché è una critica, ci pare) potrebbe avere ricaduta sull'affidamento ai servizi sociali che il tribunale di Milano ha concesso a Berlusconi dopo la condanna per frode fiscale: la specifica prescrizione di non diffamare la magistratura (ciò che dovrebbe valere per tutti) potrebbe riverberarsi sul beneficio ottenuto portando Berlusconi ai domiciliari o addirittura al carcere. Per che cosa? Qual è la differenza tra una diffamazione e una critica sgradita a chi semplicemente non c'è abituato? La differenza tra rispetto a sacralità? Le opinioni, in Italia, sono libere a seconda di chi le esprime? Ed eccoci al processo Ruby d'Appello e ai suoi record mondiali. Un processo d'Appello, cioè, cotto e mangiato in tre udienze: saremmo l'avanguardia d'Occidente, se fosse la norma. A Milano, del resto, sanno correre come lepri: la sentenza di primo grado del caso Mills (il primo caso Mills, quello che le toghe hanno voluto celebrare senza il Berlusconi scudato) è stata emessa il 17 febbraio 2010 e la sentenza d'Appello è stata fotocopiata l'8 febbraio 2011: la durata netta è stata di otto mesi (compreso il periodo estivo: i magistrati hanno 55 giorni di ferie l'anno) e quindi niente da dire, la giustizia anglosassone in confronto è tartarughesca. Lodevole anche l'impegno dei giudici nel render note le motivazioni della sentenza Mills entro 15 giorni (e non entro i consueti 90) così da permettere che il ricorso in Cassazione fosse ancora più spedito. Sanno correre, a Milano. Il processo per frode fiscale, quello per cui Berlusconi è ai servizi sociali, ha addirittura accelerato: tre gradi di giudizio in un solo anno (alla faccia della Corte Europea che ci condanna per la lunghezza dei procedimenti) con dettagli anche emblematici, tipo la solerte attivazione di una sezione feriale della Cassazione. Un primato imbattibile, ma restano da battere i record di specialità: e un Appello in tre udienze piazzerebbe Milano (e Berlusconi) ancora primi sul podio. Forse un Berlusconi in galera potrebbe addirittura facilitare le cose: ma che il tribunale di sorveglianza lo condanni per «oltraggio» pare improbabile: se fosse indagato come tale, le sue dichiarazioni rese nel processo di Napoli diverrebbero inutilizzabili, e a Berlusconi non dispiacerebbe. I giudici non gli farebbero mai questo favore. di Filippo Facci @FilippoFacci1