Joseph Ratzinger, cosa non torna nella ricostruzione sulle dimissioni
Dopo la risposta ironica data alla Stampa di mercoledì (secondo cui Ratzinger sarebbe rimasto papa emerito solo perché ormai aveva il vestito bianco nell'armadio e non si trovava una tonaca nera in tutto il Vaticano), risposta surreale che solo chi crede all'esistenza dei Puffi poteva prendere sul serio, due giorni dopo - il 28 febbraio - è arrivata la risposta vera, tramite il segretario particolare di Benedetto XVI, monsignor Georg Gaenswein. Interpellato da Avvenire, infatti, alla domanda se Ratzinger si è mai pentito di aver assunto il titolo di papa emerito, don Georg ha risposto di no e ha spiegato perché ha deciso così: «Ritiene che questo titolo corrisponda alla realtà». Ecco la risposta seria. Prova che invece era una battuta scherzosa quella con cui è stata liquidata La Stampa, che era andata a disturbare chi non poteva parlare (Benedetto si è impegnato solennemente a stare «nascosto al mondo»). Qualcuno dirà che poteva non rispondere alla fastidiosa interpellanza. Ma se non rispondeva il suo silenzio poteva essere letto come troppo sospetto e sedizioso. Le parole del segretario spiegano che il titolo di «papa emerito» non è certo dato dall'abito, perché l'abito non fa il monaco (anche il bimbo salutato mercoledì da Francesco in piazza San Pietro era vestito da papa). Gaenswein afferma che nel caso di Ratzinger quella qualifica «corrisponde alla realtà». Chi ha orecchie, intenda. È una risposta molto importante ed è esattamente in linea con le parole pronunciate da Benedetto XVI nel suo ultimo discorso, il 27 febbraio 2013, in cui, parlando del suo ministero petrino, disse: «Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c'è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all'esercizio attivo del ministero, non revoca questo». Cosa teologicamente significhi tutto ciò, che crea una situazione nuova nella storia della Chiesa, per ora non è stato spiegato. Ma verrà il tempo in cui tutto si chiarirà. Dopo l'unica spiegazione pubblica del suo status, del 27 febbraio 2013, Benedetto XVI si è impegnato solennemente a non parlare più. Parlano però i suoi gesti, i suoi segni e le sue decisioni e corrispondono esattamente a quanto venerdì ha dichiarato monsignor Gaenswein. Frasi da rileggere In una precedente intervista al Messaggero, il 22 ottobre scorso, il segretario particolare di Ratzinger, che è pure Prefetto della Casa Pontificia con Francesco, aveva detto altre cose molto importanti, da rileggere attentamente, frase per frase. La domanda era stata questa: «In Vaticano non c'è il rischio di avere un Papa e un antipapa?». Ecco la sua significativa risposta: «Per nulla. C'è un Papa regnante e un Papa emerito. Chi conosce Benedetto XVI sa che questo pericolo non sussiste. Non si è mai intromesso e non si intromette nel governo della Chiesa, non fa parte del suo stile. Il teologo Ratzinger, inoltre, sa che ogni sua parola pubblica potrebbe attirare l'attenzione, e qualsiasi cosa dicesse verrebbe letta pro o contro il suo successore. Quindi pubblicamente non interverrà. Per fortuna fra lui e Francesco c'è un rapporto di sincera stima e affetto fraterno». Lascio ai lettori il commento. Io mi limito a osservare che appare del tutto fuori strada sia chi oggi usa Benedetto contro Francesco, sia chi - e sono i più - usa Francesco contro Benedetto. Non si può né delegittimare e cancellare Benedetto in nome di Francesco, né delegittimare e cancellare Francesco in nome di Benedetto. Senza con ciò ritenere «normale» la situazione (bisogna guardare al Terzo segreto di Fatima). Anche se fuori trapela poco e pare che d'improvviso sia stato messo uno strano silenziatore agli scandali, il momento è drammatico. La barca di Pietro è sotto attacco, dall'esterno e dall'interno, come mai lo è stata prima. I due pastori sanno di vivere una situazione inedita nella storia bimillenaria della Chiesa (anche se i vaticanisti si fanno in quattro per dire che è tutto normale). Loro due sono ben consapevoli della delicatezza dei loro ruoli e della drammaticità loro compiti. Molte cose, oggi, non possono dire e non possono spiegare. E i segnali e i messaggi che escono dai Sacri Palazzi sono sottili, vanno colti e decifrati con perspicacia, passione per la Chiesa e libertà interiore (con una certa consapevolezza di quella lingua cifrata che è il «curialese»). Qua e là si possono rinvenire le briciole di notizie disseminate «distrattamente» sulla via. Per far capire la situazione e la strada. Per esempio, da un'altra recente intervista di monsignor Gaenswein - che poi è l'uomo di collegamento fra Benedetto e Francesco - si apprendono cose interessanti. Mi riferisco a ciò che ha dichiarato al Washington Post. Don Georg dice che Benedetto ha «una grande stima» di Francesco e che essa «è cresciuta per il coraggio del nuovo Papa, settimana dopo settimana. All'inizio non si conoscevano molto bene, ma poi Papa Francesco gli ha telefonato, gli ha scritto, gli ha fatto visita, gli ha telefonato di nuovo e lo ha invitato (a riunioni private), e allora i loro contatti sono divenuti molto personali e confidenziali». Dov'è qui la «briciolina»? Nella frase: «lo ha invitato a riunioni private». Una notizia apparentemente piccola, ma che in realtà può avere un enorme significato. Poi Gaenswein ha detto ciò che ha potuto osservare lavorando con i due uomini di Chiesa: «lo stile di Papa Francesco è molto diverso, anche se questo non vuol dire che il contenuto sia migliore», ma «il suo stile ha creato molto interesse tra i fedeli e anche al di fuori della Chiesa». Ha aggiunto: «Il successo non è l'angolo giusto da cui giudicare un papato». E ha concluso sottolineando che Benedetto XVI «ha piantato molti semi e i risultati non si possono vedere subito». È alla luce di questo quadro molto complesso che va considerato anche l'episodio della Stampa (che, curiosamente, ha reso note, su nostra richiesta, solo le risposte, ma non ancora le domande). Fra l'altro Andrea Tornielli iniziava il suo articolo, giovedì scorso, annunciando che Benedetto XVI smentiva chi aveva parlato di «diarchia». Pure su Vatican Insider ha scritto: «Benedetto dice chiaramente che non partecipa a una diarchia». Ma, a rigore, nella lettera di Benedetto questa smentita non c'è (di «diarchia» non parla affatto). Ciò non significa che la legittimi, ma la negazione esplicita non si legge. Tornielli dice pure che «Benedetto rifiuta decisamente qualsiasi speculazione su motivazioni segrete per la sua rinuncia» e anche questo non è vero: non dice nulla sulle motivazioni (dunque le ipotesi che sono state fatte non sono state smentite). Egli ripete solo che la sua è stata una scelta libera, cosa che già aveva dichiarato solennemente e che nessuno ha mai contestato. Quella lettera contiene poi altre stranezze. Al primo punto vi si legge: «unica condizione della validità (della rinuncia) è la piena libertà della decisione». Unica? Possibile che Benedetto XVI ignori che nel Codice di diritto canonico le condizioni per la validità sono due? Per quanto riguarda il vestito vi si legge che il suo «abito bianco» è «distinto da quello del Papa». Ma in realtà lui, anche quando era papa regnante, nella vita privata vestiva esattamente come ora (e ci sono le foto che lo provano). Quindi continua a vestire da papa. Gli auguri natalizi Infine la firma. Ho un biglietto di auguri natalizi del papa emerito del dicembre scorso, due mesi fa. È possibile notare che la grafia è molto diversa e che si firma «Benedictus», come sempre ha fatto, mentre nel biglietto a Tornielli si legge «Benedetto». Infine nel biglietto di auguri, fra il nome e il numerale, c'è la sigla papale «PP», mentre non c'è nel biglietto di Tornielli, in cui invece c'è un improprio punto dopo «XVI». Ovviamente il biglietto è autentico. Ma scritto in modo tale da non chiarire nulla e - anche con la battuta sull'abito bianco - da autoinvalidarsi e - sostanzialmente - burlarsi finemente degli interroganti. Benedetto fa pensare alle parole di Gesù nel Vangelo: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque astuti come i serpenti e puri come le colombe» (Mt 10, 16). di Antonio Socci