Pamela Mastropietro e l'orrore di Macerata, il generale Basilicata: "Così colpisce e uccide la mafia nigeriana"
Il bestiale delitto consumato nella mansarda degli orrori a Macerata, la mattanza inflitta da tre africani sul cadavere della bella 18enne Pamela Mastropietro, fatta a pezzi il 30 gennaio scorso e chiusa dentro a due valigie abbandonate sul ciglio della strada e tutto questo senza ancora un perché, ha puntato i riflettori su un'allarmante realtà: la mafia nigeriana. Gruppi criminali che continuano a distinguersi per le modalità particolarmente aggressive con le quali commettono reati. Una struttura ben organizzata e radicata, secondo il generale Antonio Basilicata, capo reparto preventivo della Direzione investigativa antimafia (Dia). Basilicata guida anche la Divisione analisi, dove si studiano le strutture criminali e mafiose straniere. Leggi anche: La criminologa, "Pamela uccisa per motivi sessuali" Generale, si sta parlando molto di mafia nigeriana. Come si sta muovendo nelle nostre città? «Il fenomeno è noto da anni. C'è addirittura una sentenza della Cassazione del 2007 che ha riconosciuto a queste organizzazioni criminali il 416 Bis. Stessa sentenza è stata emessa nei tribunali di Torino, Brescia, Milano. Poi ci sono i casi come Castel Volturno, dove nel 2008 si sono messe in seria relazione due sodalizi criminali e sono morti sei nigeriani. Questo perché si muovono come affiliati alla mafia, a volte in alcune città del sud stringono anche accordi con i clan, con le cosche, in altre agiscono in modo autonomo, facendo leva solo sui legami con i connazionali. La differenza rispetto alla mafia italiana è che i nigeriani esaltano la componente mistico-religiosa». Che significa? «Significa che usano forme di violenza legate ai loro riti, in una sorta di vincolo associativo che resta saldo tra le famiglie di origine e quelle delle persone che gestiscono qui in Italia. Un esempio sono le prostitute nigeriane: per ottenere la loro obbedienza vengono ricattate anche con argomentazioni di tipo mistico. Ad ogni modo, per chiarezza va detto, fanno tutto tra di loro». E non potrebbe essere stata l'eccezione il caso di Pamela? «Non credo. La mafia nigeriana fa tutto il possibile per non mettersi in mostra. Evita violenze esterne, per non finire nel mirino, per non uscire allo scoperto. Sono settari, aggressivi e violenti». Ogni sei mesi la Dia stila un rapporto sulle mafie, anche straniere. Quali sono le città dove si è radicata la mafia nigeriana? «Principalmente Torino, Novara, Alessandria, Verona, Bologna, Roma, Napoli, Palermo. Grazie ad una struttura reticolare distribuita in tutto il mondo, riescono a garantirsi affari illeciti in campi precisi: spaccio di droga, prostituzione e tratta dei migranti. In Italia è molto attivo il sodalizio nigeriano denominato "Black axe", l'ascia nera, una consorteria a struttura mafiosa e molto violenta, a forte componente mistico-religiosa. I componenti delle tribù vengono scelti e arrivano in Italia attraverso la Libia, il mar Mediterraneo. Le loro famiglie restano in Africa, dove già si crea un patto dal quale non si torna indietro. E una volta arrivati qui, si dedicano ai traffici illeciti, incluso quello dei migranti, e i soldi li inviano alle loro tribù». Tra loro ci sono anche i richiedenti asilo? «Sì, tra loro ci sono anche i richiedenti asilo». In Italia nel 2017 c' erano 17mila nigeriani, di cui circa novemila donne. «Noi studiamo le mafie di ogni genere e ogni sei mesi relazioniamo tutto al Ministero dell' Interno che a sua volta mette a conoscenza il rapporto al Parlamento. In regioni come Lazio, Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Veneto e Piemonte, i tre nuclei storici, cioè "Black axe", "Eiye" e "Aye confraternite", hanno assunto ormai un ruolo egemone, monopolizzando nelle città più importanti i mercati dediti a prostituzione, spaccio di droga, traffico di armi, racket delle scommesse, tratte dei migranti». Tra le città ostaggio della mafia nigeriana c' è anche Macerata? «Non ci risulta, non almeno al momento. Vedremo al prossimo rapporto che faremo a giugno». La procura ieri ha smentito atti di cannibalismo, e altre cerimonie tribali sui resti della ragazza. Dall' alto del suo osservatorio, ha mai registrato in Italia la presenza di cerimonie tribali, fenomeni di cannibalismo dietro a crimini o omicidi? «Assolutamente no. Mi sento di escludere che questa pratica venga fatta nel nostro paese. Non vi è un atto d' indagine in questo senso. Non seguo l' inchiesta di Macerata sulla ragazza, ma da esterno posso dire che le ragioni sembrerebbero altre e bisogna dare il tempo agli investigatori di svolgere tutti gli accertamenti prima di avanzare conclusioni». di Simona Pletto