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Nell'archivio di Scajola anche una lettera su Marco Biagi

Nicoletta Orlandi Posti
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"Non esistono rischi immediati e imminenti". L'allora ministro dell'Interno Claudio Scajola liquidava così la richiesta della scorta a Marco Biagi. Era marzo del 2002, il 19 di quel mese un commando Br uccideva il giuslavorista bolognese sotto la sua abitazione. Oggi, a distanza di 12 anni, gli archivi segreti sequestrati nella casa del suo capo segreteria Luciano Zocchi rivelano l'esistenza di una segnalazione-appunto, pubblicata da Fiorenza Sarzanini sul Corriere, arrivata sul tavolo di Scajola due giorni prima che Biagi venisse assassinato. Un importante politico gli segnalava quanto fosse grave la minaccia nei confronti del professore e gli diceva che stavano per ammazzarlo. Scajola ne ha preso visione, ha vistato il documento, l'ha conservato, non ha fatto nulla, ma soprattutto ha sempre sostenuto di non essere mai stato informato del reale pericolo che correva il giuslavorista bolognese. La lettera, recuperata dai finanzieri nel corso di una perquisizione a casa di Zocchi per la disputa dell'eredità lasciata dal marchese Gerini ai Salesiani, smentisce l'ex ministro caricandolo di responsabilità sulla tragica fine di Biagi: se avesse avuto la scorta, ha ammesso davanti ai Pm la brigadista pentita Cinzia Banelli, "non saremmo riusciti ad ucciderlo". Tanto che la procura di Bologna ha deciso di riaprire le indagini sulla morte di Biagi, definito dallo stesso Scajola, a pochi mesi dall'omicidio, un "rompicoglioni". E l'ipotesi di reato alla quale la procura sta lavorando è quella di omicidio per omissione. Più grave dell'omissione semplice, che sarebbe prescritta dopo 7 anni e mezzo (nel 2009), e dunque perseguibile. È prevista dal secondo comma dell'arti colo 40 del  codice penale: "Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". In pratica il procuratore Roberto Alfonso e il sostituto Antonello Gustapane, titolari del fascicolo, ipotizzano che chi sapeva delle minacce a Biagi non fece quello che era in suo potere e dovere per porlo al riparo dai propositi eversivi delle nuove Br. La vecchia inchiesta si era conclusa con richieste di archiviazione per tutti: sembrava impossibile provare che chi stava al vertice del Viminale in quegli anni, avesse saputo realmente quale fosse il pericolo per Biagi. La scoperta di questo documento, insieme ai faldoni, alle buste che il segretario ha custodito per conto di Scajola apre nuovi e inediti scenari investigativi. Anche perché non riguardano solo il periodo in cui l'esponente azzurro era ministro dell'Interno: tra le veline ce ne sono alcune datate dopo le dimissioni addirittura fino al 2012.

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