Antonio Socci: Papa Francesco ha fallito gli obiettivi e ora il suo partito inizia a sfaldarsi
“Ignaro” anche Bergoglio, come Marino? Forse è più una battuta che una nemesi storica, ma l'accostamento del papa argentino al “sindaco marziano” in questi giorni è suggestiva. Devo fare una premessa personale. Nel 2012 scrissi una specie di fantaromanzo, “I giorni della tempesta”, dove raccontavo di un nuovo papa straniero che sarebbe arrivato nel 2015, che avrebbe chiuso lo Ior, ospitato i cristiani perseguitati nei palazzi vaticani e si sarebbe trasferito nella parrocchia della borgata romana di Torpignattara. Tanto mi piaceva l'idea di un rinnovamento evangelico. Purtroppo oggi bisogna riconoscere che Bergoglio, in tre anni, non ha fatto quello che da lui ci si aspettava e che lui aveva annunciato. Ha provato a mettere a punto la macchina curiale e l'economia, ma con retromarce e risultati confusi, a volte controproducenti. Inoltre ha sprofondato la Chiesa in uno smarrimento dottrinale che è molto più grave di qualsiasi scandalo finanziario. Colpa di oscuri oppositori? Non diciamo sciocchezze. Solo nelle dittature i fallimenti del regime vengono giustificati con i presunti sabotaggi degli oppositori. Il papa argentino ha detto molte volte che desiderava il caos perché lo riteneva creativo: eccolo accontentato. La vicenda Vallejo-Chaouqui del resto non evoca certo i “conservatori del passato”, ma pare semmai l'inizio dello sfaldamento del “partito bergogliano”. I giornali che parlano di guerra tra Bergoglio e la Curia dimenticano di dire che proprio il partito della Curia è quello che ha “inventato” ed eletto Bergoglio. Oggi quel “partito” si trova come il Pd davanti a Marino. Amaramente pentito della scelta. Perché Bergoglio è “unfit”. Inadeguato. Bisogna prenderne atto. Sul New Yorker si è letto che in questo momento, fra coloro che lo elessero nel marzo 2013, non prenderebbe nemmeno dieci voti. L'attuale papa è figlio di quella cultura politica peronista che ha portato l'Argentina al fallimento: un paese ricchissimo che ha fatto bancarotta. Bergoglio stesso ha lealmente riconosciuto che già il suo giovanile incarico di capo dei gesuiti argentini fu un disastro. Un pezzo grosso della Compagnia ha dichiarato a un giornalista americano che a quel tempo «Bergoglio ha causato un sacco di problemi». Ha notevoli doti, ma aveva attorno una corte di fedelissimi pasdaran e il «culto della personalità… crea grandi divisioni». Ha aggiunto: «sarà una catastrofe per la Chiesa avere uno come lui alla Sede Apostolica. Noi ci abbiamo messo due decenni a tentare di riparare il caos che aveva prodotto». I media italiani vivono in una bolla di papolatria che pare un'ossessione idolatrica. Vedono Bergoglio come il Bene assoluto e chi dissente da lui è dipinto come emissario del Male o losco cospiratore. Sui giornali non trovi notizie su Bergoglio, ma inni, messe cantate e genuflessioni. Perfino chi scrive libri con documenti riservati arrivati dagli uffici vaticani sente il bisogno di affermare che lo fa per aiutare il Papa nella sua messianica opera di rinnovamento della Chiesa, ovvero contro quei cardinali brutti, sporchi e cattivi che gli si opporrebbero. In effetti in questi giorni pare si voglia colpire - sui giornali - proprio chi, a viso aperto, ha dissentito al Sinodo dalle tesi Kasper-Bergoglio. Ma i media devono marcare stretto il Potere o dare la caccia ai dissidenti? Si arriva all'assurdo del comunicato vaticano che, a proposito dei fatti di questi giorni, deve precisare: «Bisogna assolutamente evitare l'equivoco di pensare che ciò sia un modo per aiutare la missione del papa». Una surreale precisazione da cui traspare la preoccupazione, dell'establishment bergogliano, che per “aiutare” il Grande Capo si finisca col danneggiarlo. D'altra parte una volta innescato il micidiale meccanismo del circo mediatico come strumento di potere - e Bergoglio lo ha fatto spregiudicatamente, per esempio usando l'amico fraterno Scalfari per far sapere quello che veramente pensa - poi accade che si perda il controllo di quella macchina mediatica. A quel punto se c'è una notizia sgradita si grida al “complotto”, com'è accaduto, per dire, con il coming out di monsignor Charamsa. Ma chi lo ha indotto a quel gesto se non le ambiguità delle parole e delle scelte bergogliane sul tema gay? Infatti anche mons. Charamsa spara a zero contro la Curia, che accusa di “omofobia”, ed è un entusiastico sostenitore di Bergoglio. La crisi del bergoglismo - anche dopo la doppia sconfitta ai due Sinodi - è evidente. Certo, il “Marino del Vaticano” è sostenuto dall'entusiastico appoggio dei media laici. Da mesi siamo alluvionati dalle esaltazioni del papa su giornali e tv. Lo stesso Bergoglio a volte ne è imbarazzato: «non mi piace la mitologia di papa Francesco», confessò a De Bortoli. Ma poi se la fa piacere perché usa questo circo papolatrico come formidabile strumento di pressione dentro la Chiesa, per costringerla a inchinarsi all'agenda scalfariana. Solo che - come ho detto - non tutto e non sempre è controllabile nell'informazione. Le rare volte in cui esce qualcosa di dissonante rispetto al coro uniforme del Giornalista Collettivo - come lo chiama Giuliano Ferrara - da Casa Santa Marta si alzano in volo i “bombardieri”. È accaduto venti giorni fa con il Quotidiano nazionale che ha pubblicato la notizia del presunto tumore alla testa di papa Bergoglio. Nella stessa serata, cioè a mezzanotte, in modo del tutto irrituale, padre Lombardi ha scatenato il finimondo contro questa notizia come se fosse un sacrilegio. Una reazione che ha stupito e insospettito perché sulle malattie dei papi si è sempre favoleggiato, senza queste virulente reazioni d'oltretevere. Ovviamente una notizia può anche essere una bufala. Sono gli incidenti del mestiere. Ma una bufala non è mai un complotto. L'unica domanda da porsi su una notizia è questa: è vera o è falsa? Invece il coro del Giornalista Collettivo si è subito cimentato con il refrain vaticano del “complotto contro il papa”. Alla fine, dopo giorni di dietrologie, non si capito come stanno le cose. Tutti si sono fatti piacere le smentite e la cosa è stata sepolta. Ecco dunque alcune perle contenute nelle smentite. Il professor Fukushima fra l'altro ha detto: «forse l'equivoco è nato dall'operazione al cervello che io ho fatto su una persona di fattezze e di età simile a quella del Pontefice, con un nome che suonava simile». L'allievo di Fukushima, il neurochirurgo Gaetano Liberti, che lavora anche nella clinica di San Rossore, sempre per smentire, ha fra l'altro dichiarato: «siamo medici e non avremmo comunque mai violato la privacy di nessun paziente, men che meno di una personalità così influente come papa Francesco». Dopo tutto ciò il direttore di Qn Andrea Cangini, un giornalista serio e corretto, il 23 ottobre, ha rilasciato un'intervista al Tempo. Questa la domanda: «Il Santo Padre ha davvero un tumore benigno al cervello? Tutti negano, lei lo ribadisce?». Risposta: «Ma certo. Quello che abbiamo scritto è stato verificato. E garantisco che non abbiamo nessuna intenzione di spalleggiare guerre intestine in Vaticano». Nuova domanda: «Lei ha affermato di essere in possesso di una prova documentale. Di che tipo?». Risposta: «Se dessi più elementi metterei a repentaglio la mia fonte. È una prova scritta». Davanti a una dichiarazione simile era ovvio aspettarsi da padre Lombardi l'invito a pubblicare tale “prova”. Purtroppo il Vaticano si è ben guardato dallo sfidare Qn. È curioso. Cangini è uno stimato professionista e Qn è un importante quotidiano, solitamente lontano dalle sparate temerarie. In un paese normale gli si sarebbe chiesto di esibire la prova documentale di quanto afferma. Invece nulla. Aver lasciato questa storia in sospeso potrebbe essere un altro dei motivi dell'indebolimento di papa Bergoglio e del bailamme interno alla Curia e al suo “partito”. Del resto si ha la sensazione che la sarabanda sia solo agli inizi. di Antonio Socci www.antoniosocci.com