Economia
Balneari, il governo vuole le gare per il bagnasciuga, ma lo Stato non le fa mai
Il tuo browser non supporta il tag iframe
Si può pensare che i proprietari di lidi e stabilimenti siano approfittatori che fanno soldi a palate grazie alle concessioni assegnate per pochi soldi dallo Stato oppure che a gestire le spiagge italiane ci siano aziende familiari che negli anni hanno investito, sgobbato, offerto un buon servizio ai clienti e guadagnato il diritto ad occupare i terreni del demanio. Si può pensare che sia finito il tempo delle scorciatoie e degli intrecci tra politica ed economia e che sia venuto il momento del mercato e della concorrenza oppure che lo Stato debba conciliare l’interesse pubblico con quello privato. Si può essere statalisti o liberisti, ma non a corrente alternata. Bisogna esserlo anche quando l’Europa non ti punta il fucile contro. Evviva le gare ad evidenza pubblica, la concorrenza, il libero mercato? Siamo straconvinti che quelli siano gli ingredienti giusti per avere maggiore efficienza, ma proprio per questo ci chiediamo: perché non applicare la stessa ricetta con cui si vuole rivoluzionare e migliorare il mondo dei balneari anche alla pubblica amministrazione? Solo qualche mese fa, con la delibera 15/2021, la Corte dei conti ha passato in rassegna 18.251 affidamenti in corso di servizi pubblici locali, per un valore che supera gli 11 miliardi di euro l’anno (quasi quanto i 15 miliardi di ricavi attribuiti ai balneari). Ebbene, la via diretta dell’in house, con cui l’ente affida senza gara il servizio a una sua partecipata, è stata seguita 16.963 volte. Si tratta del 93% del totale. Forse Comuni e Regioni hanno verificato che così le cose funzionano meglio, ma ecco che ne pensa l’Antitrust: «Il ricorso pervasivo all’affidamento c.d. in house providing si realizza spesso a favore di società prive dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla normativa ovvero in assenza di adeguata motivazione circa la convenienza della forma di affidamento prescelta».