Occhio al bomber

James Troisi, il paisà d'Australia che ha snobbato gli sceicchi

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Giulio Bucchi

Le parole migliori per spiegare questa storia vanno prese in prestito da Alda Merini: «Anche la follia merita i suoi applausi». James Troisi è figlio di una greca e un napoletano immigrati in Australia. Nato ad Adelaide nel 1988, mostra sin da subito di ragionare secondo schemi decisamente poco standard. È ancora un bimbo quando preferisce il soccer al rugby, che invece tutti gli altri coetanei giocano nei grandi parchi della città dedicata alla consorte di Guglielmo IV. Parte della colpa è di papà Albino, che da buon italiano lo spinge verso il suo, di sport nazionale, procurandogli anche una porta nella quale calciare. Non a caso James diventa attaccante. Entra a far parte delle giovanili dell’Adelaide City e inizia a farsi notare. Però è in Australia. Ci sono i canguri, una varietà sorprendente di serpenti mortali, gli aborigeni, i coccodrilli e un sacco di gente vestita male. Ma niente calcio. Si sente un giocatore vero in una nazione che al soccer - Del Piero a quei tempi non era ancora passato da Sydney - rifiuta di prestare attenzione. Allora scommette su se stesso, fa le valigie e parte per l’Inghilterra: provino al Newcastle. Preso. È in Premier league, nella rosa della squadra riserve, ma è in Premier league. Si impegna, lavora, suda, migliora, però non trova spazio. Potrebbe tirare a campare (e parliamo di un tot di sterline all’anno) ma si sente un giocatore vero. Ha bisogno di stimoli e vuole andarseli a cercare. Gli danno del pazzo, però fa di testa sua. A metà della seconda stagione non rinnova con gli inglesi e rifà le valigie: Turchia. Non sarà la Premier league, ma adesso gioca. È uno degli attaccanti del Genclerbirligi di Ankara, porterà a casa 29 presenze e 6 gol in una stagione. Ma attenzione: tre li segna in una partita sola, a fine campionato, e valgono una salvezza che ha del miracoloso. L’anno dopo lo cerca il Kayserispor, altra squadra turca, che gli fa firmare un quadriennale. Troisi è un ventenne, sembra il trampolino di una bella carriera. Invece dopo un paio di stagioni il club va in bancarotta. Tutta la rosa finisce sul mercato e James riceve un’offerta che non si può rifiutare: dal Qatar gli propongono un triennale da sei milioni di petrodollari per giocare nell’El Jaish. Ora, qualsiasi calciatore australiano figlio di immigrati senza uno straccio di contratto penserebbe d’avercela fatta. Ma Troisi si sente un giocatore vero e in Qatar il calcio è finto. Gli danno del pazzo, ma fa di testa sua. Rifiuta il malloppo degli sceicchi. È a quel punto che si fa avanti la Juventus (sì, la nostra, quella con tre stelle sul petto). James firma coi bianconeri. Non vestirà mai la maglia della Signora, viene subito girato all’Atalanta come contropartita nell’affare che porta Gabbiadini al club della famiglia Agnelli nell’estate 2012. Però coi bergamaschi fa sei presenze in serie A, prima di essere girato in prestito al Melbourne Victory nell’ultimo campionato, nel quale ha fatto 14 gol, s’è guadagnato il pass per Brasile 2014 e - soprattutto - il patentino di calciatore vero. Che gli è costato sei milioni di petrodollari. Anche James Troisi merita i suoi applausi. di Fabio Corti