Via libera (ai trafficanti)

Immigrazione, Italia in Libia contro gli scafisti. La pagliacciata del governo: mandiamo solo due navi

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Giulio Bucchi

Via libera verso la Libia. Forse. Comunque a metà. Il Consiglio dei ministri ha dato il primo via libera alla missione di supporto in acque libiche per contrastare i trafficanti di uomini e fermare le carrette del mare che fanno rotta verso l' Italia. Ma i vincoli, i veti, i ridimensionamenti della missione sono parecchi. La delibera del Cdm sarà sottoposta al Parlamento con un dibattito in Parlamento martedì prossimo e per mercoledì è previsto l' avvio delle operazioni. Il piano, comunque, parte già dimezzato. Davanti a Tripoli e a Misurata, almeno in una prima fase, saranno inviate al massimo un paio di navi, una fregata Fremm e un pattugliatore con relativi elicotteri imbarcati, droni, uomini del battaglione San Marco e del Comsubin. Un dispositivo dunque ridotto rispetto alle cinque navi ipotizzate in un primo momento, quando si è parlato anche di circa 700 militari coinvolti. Non ci sarà quindi un «enorme invio di grandi flotte e squadriglie aeree», ha confermato il premier Paolo Gentiloni, ribadendo che l' iniziativa italiana «non è contro ma vuole rafforzare la sovranità libica». Parole rivolte in realtà più a Tripoli che all' opinione pubblica italiana, per placare i fermenti nelle varie tribù, che cominciavano a pensare ad una sorta di invasione, che avevano costretto il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, a frenare la sua richiesta di supporto. Smentite e controsmentite a parte, le regole di ingaggio ancora non sono definite del tutto, ma un punto è chiaro: a gestire nel concreto le operazioni di controllo dei flussi, a fermare le barche degli scafisti, a riportare sulla terraferma i migranti dovranno essere solo i libici. Le motovedette della marina libica dovranno seguire le segnalazioni delle unità italiane, e intervenire direttamente, e il ruolo italiano sarà di «sostegno tecnico logistico». L' accordo tecnico militare dovrà stabilire che la giurisdizione a bordo delle navi resta italiana, ma anche precisare che fine faranno i migranti raccolti in mare: si parla di centri di raccolta nella terraferma libica sotto il controllo dell' Alto commissariato Onu per i rifugiati. Poi c' è il problema, non da poco, della frammentazione politica della Libia: chi comanda davvero e chi vuole la presenza delle navi italiane. E ancora: che succederà se gli scafisti che gestiscono il traffico di esseri umani reagiranno con la violenza? Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, garantisce: «Risponderemo al fuoco se attaccati? Questo sempre, in ogni occasione. Ma per i dettagli risponderò martedì in Parlamento». Ma è chiaro che non sarà così semplice. Dopo i chiarimenti con le varie autorità libiche, è stato possibile decidere, d' accordo con il governo libico, di far partire già nelle prossime ore per Tripoli un pattugliatore della Marina. I militari faranno una ricognizione per mettere a punto nei dettagli il dispositivo navale, sulla base delle richieste delle autorità libiche, e d' intesa con loro. Il sopralluogo si concluderà entro martedì, in coincidenza con la discussione in Parlamento della delibera del Cdm. Saranno le commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato a valutare limiti operativi, regole d' ingaggio e garanzie a tutela dei militari nelle navi. Il premier ha auspicato «che il Parlamento possa dare il via libera con il consenso più largo». Critiche e dubbi sull' operazione, però, arrivano dalle opposizioni. «E' ora che il governo predisponga il blocco navale sulla Libia con o senza l' ok del governo libico: Gentiloni non ci imbrogli», è l' ammonimento di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera. Gli azzurri sono disposti a dare una mano, ma prima vogliono «leggere» il progetto. Gli fa eco il capogruppo della Lega Nord Massimiliano Fedriga: «La Lega per tre anni si è presa insulti perché voleva il blocco navale». Il leader del Movimento Nazionale per la Sovranità Gianni Alemanno è dello stesso avviso: «Si fermino le navi delle Ong e si faccia un decreto legge per un blocco navale in acque libiche: si può». Giorgia Meloni, leader di Fdi, spiega: «È una misura insufficiente, ben lontana dal blocco navale che noi chiediamo da anni, ma è almeno un piccolo passo avanti». di Caterina Maniaci