Incastrati

Ong, la Mare Jonio benedetta dalla Cei è fuorilegge: non può soccorrere i naufraghi

Luca Piccini

La “benedizione” è arrivata, una settimana fa, quando una piccola barca a vela, la Migrantes, finanziata dalla fondazione omonima (che però è un organo della Cei, ossia della Conferenza episcopale italiana), ha aiutato, nel mezzo del Mediterraneo, la Mare Jonio a recuperare 182 persone. Cioè 182 migranti. La diffida, invece, è affare più recente, di ieri, nell’esatto istante in cui l’armatore e il comandante della Mare Jonio si sono visti recapitare un provvedimento dell’autorità marittima di bandiera: «Diffida», appunto, c’è scritto sopra, «la società proprietaria del rimorchiatore dal continuare a intraprendere ogni attività preordinata alla effettuazione sistematica del servizio di ricerca e soccorso in mare».

LE POLEMICHE
Passo indietro perché a fine agosto di polemiche, la “barca dei vescovi”, ne ha suscitate parecchie e, adesso, che il mese è cambiato non è cambiata l’antifona. La Mare Jonio, sì certo, appartiene all’ong Mediterranea Saving Humans che ha sede a Bologna e non nel Vaticano, però, no, quella recente “scorta” della Migrantes, peraltro pure ricordata da Papa Bergoglio nella sua ultima udienza pubblica, di dubbi, sulla comunanza quantomeno di intenti, non ne lasciava. Adesso niente, adesso la Mare Jonio (non è nemmeno la prima volta ma la seconda, la precedente è avvenuta esattamente un anno fa, a fine agosto 2023 ed è andata più meno nello stesso modo: un richiamo, la burocrazia e la ong che gridava a un «atto di guerra contro la flotta civile») rischia un arresto fino a tre mesi ai sensi dell’articolo 650 del codice penale e lo rischia perché a bordo mancherebbero le certificazioni di idoneità per quel genere di attività che ha svolto, diverse volte, al largo della Sicilia. Nel senso: che sia abilitata al soccorso lo riconosce anche la guardia costiera, ma nello specifico non lo sarebbe (abilitata) all’«effettuazione sistematica» di questo singolo «servizio».

Apriti cielo. E proprio lì, al porto di Trapani, mentre rientrava dalla “missione 18” per «sostenere le visite annuali del “Rina”», come si affrettano a dichiarare dalla Mediterranea (il “Rina” è il Registro navale italiano), e «le ispezioni previste della capitaneria di porto». Una faccenda che, i diretti interessati, provano subito a buttare in politica: «È un provvedimento grave e paradossale al tempo stesso», continuano dalla ong, «si tratta di un’iniziativa voluta dal governo in carica, dal ministro dell’Interno e da quello dei Trasporti. Un ulteriore capitolo nella guerra cieca e insensata condotta da questo esecutivo contro le navi della flotta civile e il soccorso in mare». Prove a supporto: zero.

 

Personalità tirate in ballo: parecchie, e persino di primo piano (dalla premier Giorgia Meloni al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, senza dimenticare il numero uno del Viminale Matteo Piantedosi). Unica (dicono loro) evidenza a carico: il fatto che il documento di diffida faccia «esplicito riferimento alle operazioni di soccorso condotte dalla Mare Jonio tra il 24 e il 25 agosto (guarda caso le stesse a cui ha partecipato anche la Migrantes, ndr), in stretta collaborazione con le motovedette della guardia costiera italiana che, in due casi du tre, hanno traferito a Lampedusa 67 persone prima e 50 poi».

CASARINI SUI SOCIAL
È tuttavia Luca Casarini, ex volto dei no-global d’un tempo e oggi attivista sul fronte migranti (mica a caso la Mediterranea saving humans l’ha fondata lui), che, sui social, fa sapere, provocatorio: «E secondo voi non obbediremo all’ordine di non soccorrere? Per noi non “so’ migranti”» (va segnalato che il commento di risposta che viene riproposto per la maggiore è: «No, so’ soldi»). Le istituzioni tirate in ballo, dal canto loro, non rispondono né entrano in una discussione che sembra di quelle già viste. «Anche questa volta siamo costretti a perdere tempo ed energie per tutelare la Mare Jonio in ogni sede legale», si sfoga infine l’ong, «come ci ricorda anche l’inchiesta aperta dalla magistratura sulla strage di Cutro, la ricerca e il soccorso in mare non sono un’“attività sistematica” che si può scegliere di compiere a discrezione, ma un preciso dovere etico, obbligo di legge che vale per chiunque vada per mare. Non farlo, questo sì, è un crimine».