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La Chiesa si divide sul barcone della Cei che raccoglie migranti per portarli in Italia

Andrea Morigi
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 I migranti arrivano anche senza andarli a prendere in mare. Come a Ventimiglia, porta d’ingresso per la Francia, dove la diocesi si prodiga da anni in un’opera di prima accoglienza, di consulenza legale e supporto logistico ai più fragili, destinando loro locali del seminario, insieme alla Caritas, numerose associazioni e volontari. Certo, non organizza spedizioni navali come la fondazione Migrantes, organismo della Conferenza Episcopale Italiana.

«Mi è parso un passo più lungo della gamba. La Chiesa promuove tutto ciò che di buono si compie al servizio dell’uomo, orientandolo con la dottrina e sostenendolo con la raccolta di fondi, ma per ciò che riguarda il soccorso in mare, è un’attività suscettibile di diverse interpretazioni e prospettive», osserva il vescovo di Ventimiglia -Sanremo, monsignor Antonio Suetta.

 

 

 

INTEGRAZIONE DIFFICILE

Quell’ambito, sottolinea, è «di competenza delle pubbliche istituzioni e di laici benemeriti» e comunque «il soccorso in mare, che è doveroso dal punto di vista morale, non soltanto dal punto di vista del diritto internazionale, non può essere l’unico mezzo per risolvere una questione così vasta. E non si può lasciare che se ne facciano carico soltanto i Paesi che rappresentano una porta d’ingresso. Occorre che sia affrontata a livello europeo, con un’attenzione particolare a non creare sproporzioni per non sfavorire la giustizia. Altrimenti ne soffrirebbe il processo di integrazione con le comunità che ospitano i migranti».

Poi c’è anche da evitare di lanciare un messaggio di via libera agli scafisti. Se si diffondesse la notizia che sono salpati perfino i preti a raccogliere i disperati sui barconi, potrebbe essere letta quasi come un invito a prendere il largo. E a rischiare la vita.

Monsignor Suetta non polemizza, anzi invita a considerare seriamente il messaggio scritto a mano il 24 agosto dal Santo Padre agli equipaggi della nuova missione di monitoraggio, ricerca e soccorso della nave Mare Jonio in partenza da Trapani per l’area di operazioni Sar a sud di Lampedusa: «Vi auguro il meglio e invio la mia benedizione all’equipaggio di Mediterranea Saving Humans e a Migrantes. Prego per voi. Grazie tante per la vostra testimonianza. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Fraternamente, Francesco».

Allo stesso tempo, monsignor Suetta ricorda che «un coinvolgimento diretto della Chiesa la pone in una posizione delicata perché occorre sì far fronte all'emergenza, ma non favorire i viaggi via mare. Infatti il margine di rischio si calcola in percentuale: più alto è il numero di persone che s'imbarcano e maggiore è il pericolo di naufragi. E agevolare determinati passaggi può rivelarsi un’imprudenza».

 

 

 

Eppure, anche se molti ecclesiastici non hanno ritenuto opportuno esporsi, una posizione netta, emersa proprio ieri dal sito della Nuova Bussola Quotidiana, sembra aver dato loro voce attraverson un commento di Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa e consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: «Il sostegno è stato dato ad un gruppo dalle idee discutibili; sono state adoperate risorse derivanti dalle offerte dei fedeli per scopi che molti di essi disapproverebbero; della questione immigrazione è stata appoggiata una visione ideologica che mette in ombra molti aspetti e ne deforma altri; non si tiene conto delle strumentalizzazioni che pesano sui cosiddetti profughi, né della loro realistica motivazione alla partenza, né dei traffici di cui sono vittime e che una accoglienza cieca corrobora; non si pensa alle possibili violazioni delle leggi esistenti italiane e internazionali; non si tiene conto che mentre i vescovi italiani finanziano le missioni in mare, i vescovi africani invitano a fermare le partenze».

 

I REMI IN BARCA

Così, avvertite le contrastanti sensibilità all’interno del mondo cattolico, anche monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, tira in barca i remi della sua “nave dei folli” (cit. Sebastian Brant, 1494, e The Doors, 1970) e dichiara finita l’esperienza della barca a vela che, per tre giorni, ha affiancato la nave Mare Jonio. Perfino Avvenire ieri relegava la notizia in un taglio medio, a testimonianza dell’imbarazzo di molti prelati e fedeli. Anche l’obiettivo della spedizione sembra ridurre la propria portata. Ora si scopre che consisteva nel «raccogliere dati e informazioni sull’azione di monitoraggio, ricerca e soccorso dei migranti nel Mediterraneo, e documentare anche l’efficacia di quanto viene compiuto». Ci sono altri organismi specializzati in grado di farlo. Forse non valeva nemmeno la pena di togliere le àncore e prendere il largo. L’evangelico richiamo “duc in altum” potrebbe essere interpretato diversamente.

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