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Migranti, FdI svela il gioco sporco del racket: "Compriamo politici"

Fabio Rubini

La storia che stiamo per raccontarvi parla di un traffico illegale di visti d’ingresso verso l’Italia, di funzionari corrotti, di criminalità organizzata e di un servitore dello Stato che dovendo scegliere tra intascarsi un bel gruzzolo, apparentemente senza correre rischi, e denunciare il tutto alle autorità, mettendo a repentaglio la propria incolumità, ha optato per quest’ultima. E allora partiamo col racconto. Il 30 marzo, alle 9 del mattino, l’onorevole Andrea Di Giuseppe, eletto nella circoscrizione del Centro-Nord America nelle file di Fratelli d’Italia, si presenta al Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Roma. È andato a sporgere denuncia e a raccontare che due giorni prima, il 28 marzo, è stato avvicinato dal titolare di un ristorante. I due, Di Giuseppe e il “titolare”, un uomo di origini bangladesi, si conoscono perché, prima di essere eletto, Di Giuseppe aveva frequentato quel luogo come semplice cliente. L’approccio questa volta è però molto diverso rispetto al passato. L’uomo avvicina il neo onorevole e gli chiede di fare da tramite con un fantomatico «Console italiano in Bangladesh» al fine di facilitare il rilascio di visti in entrata per l’Italia. L’uomo, racconta il parlamentare ai finanzieri, parla apertamente di «compravendita di visti d’ingresso».

 

 


LE CONTROMISURE
A questo punto, capita l’antifona, Di Giuseppe decide di registrare la conversazione con un iPhone. Fa parlare l’interlocutore che gli spiega per filo e per segno il business che sta dietro questo traffico. Innanzitutto le tariffe: 15mila euro per un visto di lavoro e 7mila per quello turistico. Poi la spartizione del malloppo: il 50% viene diviso in parti uguali tra il “titolare” del ristorante e il presunto complice in Bangladesh. Il restante 50% serve per le spese di funzionamento dell’organizzazione e per “oliare” i vari personaggi che devono agevolare il rilascio dei visti. Compreso, ovviamente, Di Giuseppe. Per assicurarsi la sua opera di mediazione, l’uomo offre al parlamentare un bonus d’ingresso di circa 300mila euro - soldi che in un successivo incontro e contenuti in una borsa, sono stati fatti sventolare sotto il suo naso- e poi un fisso mensile da circa 120mila euro. Rischi di essere beccato? Quasi zero. Un gruzzoletto mica male, ma niente al confronto del giro d’affari che l’uomo confessa poter arrivare anche a tre milioni d’incassi in un solo giorno.

 


Nel racket dei visti, infatti, non sarebbe coinvolto solo il Bangladesh, ma anche Pakistan e Filippine. Ci torneremo dopo. Il “titolare” spiega all’onorevole in cosa sarebbe dovuta consistere la sua mediazione: in pratica avrebbe dovuto fare pressioni sui Consolati per facilitare la firma dei visti d’ingresso. Una necessità nata dal fatto che l’addetto ai visti col quale era in corso il business sarebbe stato trasferito in Turchia. E con l’arrivo di quello nuovo si era instaurato nell’organizzazione criminale il timore che «tale business» avrebbe potuto essere «appaltato ad altri soggetti». Cioè a una organizzazione criminale concorrente. Un’affermazione che fa pensare come questo tipo di attività fosse in atto da molto tempo e con ramificazioni profonde.


LA SECONDA CENA
Di Giuseppe torna dalla Guardia di Finanza, racconta tutto e consegna loro i file audio e video registrati con il cellulare. Poi parte per Miami dove ha la residenza. E dove un giorno viene avvicinato da un uomo che gli dice di avere un amico in comune e gli fa il nome del “titolare” del ristorante. Il deputato di Fdi avvisa subito la Gdf, che lo istruisce su cosa chiedere al prossimo incontro con i criminali. Incontro che avviene durante una cena - registrata pure quella - nel corso della quale non solo vengono ribaditi a di Giuseppe le tariffe sui visti e le varie spettanze, ma entra più nel dettaglio della differenza tra i due tipi di visto. Per quello di lavoro- da 15mila euro- il guadagno non è legato solo alla tangente per averlo, ma una volta in Italia l’immigrato deve pagare una quota del suo stipendio all’organizzazione, che poi se lo spartisce e naturalmente una percentuale sarebbe spettata pure a di Giuseppe. Diverso il visto turistico - da 7mila euro - che serve all’organizzazione criminale per far entrare in Italia persone che poi, una volta scaduto il permesso, vengono fatte sparire in clandestinità in tutta Europa, trasformandosi in manovalanza per le varie organizzazioni.

Sempre nel corso di quella seconda cena di Giuseppe capisce che la ramificazione è molto più complessa. Il “titolare” infatti non si limita a parlare del Bangladesh, ma spiega che la stessa cosa avviene anche con lo Sri Lanka e le Filippine, il tutto appoggiandosi a conti correnti a Singapore e a una catena di negozi/lavatrici in Italia. In più ventila l’ipotesi che lo spostamento del “suo” funzionario in Turchia possa aprire in futuro interessanti prospettive di business anche con quel Paese. Il “titolare”, ignaro di essere registrato, ribadisce a Di Giuseppe che il suo coinvolgimento sarebbe stato sostanzialmente a «rischio zero». Una circostanza probabilmente vera, ma che avrebbe di fatto messo un guinzaglio al parlamentare, che da quel momento sarebbe stato completamente nelle mani dell’organizzazione criminale. E Di Giuseppe è uno allergico ai guinzagli. È stato lui, durante l’ultima campagna elettorale, a far scoppiare il caso del “morti che votano” nelle circoscrizioni estere. Anche in questo caso il parlamentare di Fdi alle parole ha fatto seguire i fatti, con una denuncia circostanziata che ha aperto un’inchiesta che sta coinvolgendo diverse ambasciate e consolati.


OCCHI CHIUSI
Di Giuseppe nelle sue deposizioni apre un altro fronte, che è quello di chi firmai visti che spiega il parlamentare agli inquirenti -, «nella migliore delle ipotesi sarebbero stati così distratti da non accorgersi di nulla». Eppure a ben vedere le avvisaglie c’erano tutte. Compulsando i dati dell’Annuario Statistico 2022 nella sezione sulla concessione dei visti in Asia e Oceania, che qualcosa di strano c’era era intuibile. I dati completi li trovate nella tabella pubblicata a corredo del servizio, ma va rilevato come durante gli anni della pandemia da Covid, proprio i tre Paesi citati - a differenza di quasi tutte le altre nazioni che hanno visto dimezzarsi le richieste-, le stesse sono addirittura aumentate. In Bangladesh i visti rilasciati sono passati dai 7.985 del 2020 agli 8.446 del 2021; nelle Filippine da 7.118 del 2020 a 9.742 del 2021; in Pakistan da 5.676 del 2020 a 6.743 del 2021. Per capire meglio le concessioni di visti perla Repubblica Popolare Cinese sono passati dai 49.222 del 2020 agli 11.543 dell’anno più nero del Covid. Dati anche questi che sono al vaglio degli inquirenti. La Guardia di Finanza, ovviamente, ha aperto un’indagine e ordinato le verifiche del caso. Il fascicolo è passato nella mani del Gico, il Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata. E qualcosa si è pure mosso. Nel frattempo Andrea Di Giuseppe ha subito minacce. La prima a Miami, ve l’abbiamo raccontata prima; la seconda a Roma, quando una mattina mentre correva sul lungo Tevere è stato avvicinato da un uomo in bicicletta che gli ha intimato: «Onorevole, chi si fa i cazzi propri vive più a lungo...». Anche su questo, e sulle numerose telefonate anonime ricevute da quando questa storia è iniziata, il parlamentare ha presentato regolare denuncia e sono in corso indagini. Ecco il racconto di quanto successo, che ha anche ulteriori risvolti in altre zone del mondo. Ma questa è un’altra storia. Da raccontare...