Altro che 8 marzo

Massimo Giannini, la donna del futuro della Stampa: velata e islamica

Renato Farina

La Stampa di Torino, egregiamente diretta da Massimo Giannini, ha dedicato una copertina speciale alla festa dell’8 marzo, con il titolo: «La donna del futuro», intarsiato in una grande, splendida foto. Il volto della bimba è bello, dolce, sereno. Solo occhi e sorriso. La piccina è l’immagine della assoluta intangibilità di creature innocenti. Perché? Perché sì. Rifiuto ragionamenti sul tema, non esiste dialettica che possa smussare questo principio non negoziabile in alcun luogo della galassia. Varrebbe qualunque fosse stato il sesso della creatura, ma qui siamo illuminati dall’eterno femminino nel suo boccio: la bellezza di quelle guance trascende etnia, cultura, origine sociale, religione. I tratti di quel viso avrebbero indotto Raffaello a rifare i volti delle sue Madonne, tanto è pura questa creatura. Ma ha anche una potenza formidabile, straccia qualunque ideologia cerchi di impossessarsene. La svergogna qualunque si collochi sul versante progressista o quello conservatore. Inibisce chiunque conservi un frammento di rispetto a non usarla come basamento di qualsivoglia propaganda.

 

 

 

UN ABUSO

Ecco la Stampa ha commesso un abuso. Ed è pure peggio se Giannini o Concita De Gregorio non se ne sono neppure accorti: cosa vuoi che sia sparare a tutta pagina la foto di una minore, la cui faccia unica al mondo, nessuno, neanche la causa del femminismo d’avanguardia, ha il diritto di rubare a lei e alla sua famiglia per sventolarla come lasciapassare inconfutabile delle proprie tesi? Non è tollerabile trascinare senza consenso quello sguardo meraviglioso sul palcoscenico di un comizio. Uno scrupolo? O forse sì, qualcuno deve aver manifestato dissenso nello staff. Non ha funzionato. Ovvio. I diritti di bambini e bambine alla propria personalità e immagine magari prevedono una deroga che gradiremmo conoscere. O forse prevale la certezza dogmatica che per “il bene della causa”, in questo caso il gender è roba simile, ci si può comportare come il Marchese del Grillo.

Non è questa l’unica “inappropriatezza” che chiamerei volentieri schifo esibito ieri sulla copertina torinese e femministissima. Nella scuola di giornalismo, ma anche persino nella sventurata ora di lettura dei quotidiani nelle medie e nei licei, i professori si sbracciano per spiegare che le fotografie non sono oggettive. L’immagine è sempre un frammento della scena, la camera ingabbia volti e fatti in una cornice preordinata. La famosa istantanea del popolo di Baghdad che nel 2003 abbatte la statua di Saddam Hussein mentiva. Il monumento è andato in frantumi, ma l’operazione ha visto all’opera quattro gatti, è bastata una fotografia dall’alto sfuggita alla censura per spiegare la differenza tra immagine e realtà. Un po’ di onestà impone di farlo presente. Nel caso della bambina questa lealtà non è stata usata.

 

 

 

 

LA SFORBICIATA

Alla Stampa hanno preferito lavorare con la forbice, tagliando via dall’originale il burqa indossato dalla madre afghana nelle cui braccia stava la piccina. La fotografia è datata 8 settembre 2018 in un centro pakistano per il rimpatrio volontario dei profughi. Insomma: il destino, il futuro della bimba ignara e felice è stato consegnato ai talebani. Abbiamo visto le foto di confusione e dolore. Camion stracarichi, bimbi felici per il sorriso del bravo fotografo. Questo “Azakhek voluntary Repatriation Center in Nowshera” vicino a Islamabad, è stato chiuso dall’Agenzia Onu per i rifugiati il 10 novembre 2022. Abdul Majjed, il reporter, ha ceduto i diritti alla France Press e alla Getty eliminando il burqa indossato dalla mamma. Non si poteva dirlo in copertina. Tacerlo equivale alla confessione della propria truffa semantica, giocando con la gioia di una bimba. Si tratta di dissimulare presso i lettori quale sarà mai tra qualche anno la condizione della “donna del futuro”. Ci domandiamo: perché non adottare un femminismo un pochino meno centrato sul proprio ombelico? Magari lanciando e sponsorizzando l’idea che il mazzolino di mughetti sia gettato oltre le cancellate d’ambasciata dei Paesi islamici, sunniti e sciiti, compresi quelli presso la Santa Sede. Manifestando contro il Pakistan che lascia fare quel che vogliono, compreso l’omicidio rituale, contro le figlie dei propri immigrati. E investire ogni sforzo mediatico ed economico nel sostenere il diritto delle ragazze musulmane a non essere prigioniere in casa. A proposito potete acquistare online da Getty il diritto di riprodurre quella foto e appendervela in casa. Il prezzo è di 475 euro. Alla bambina niente.