Degrado
Bari, il centro d'accoglienza? Una scoperta inquietante sulla mafia nigeriana
Doveva essere un luogo protetto. Invece lì, al centro di accoglienza per richiedenti asilo, si consumavano i peggior crimini. Riti voodo per costringere le donne a prostituirsi, violenze, pestaggi, accattonaggio di mendicanti, accoltellamenti. Per alcuni anni il Cara di Bari -Palese è stato trasformato in una cellula operativa della mafia nigeriana. A muovere i tentacoli di questa pericolosa piovra nera che fino al 2019 ha agito indisturbata controllando anche i traffici illeciti della città, due gang criminali di inaudita ferocia: Vikings e Eiye, più conosciuti come Rossi e Blu in riferimento ai colori del l'abbigliamento scelto in occasione dei summit. Vere e proprie associazioni per delinquere di stampo mafioso, con suddivisioni gerarchiche dei ruoli, che hanno tenuto sotto scacco gli ospiti del Cara barese agendo indisturbati fino ai loro arresti, avvenuti tre anni fa. Violenze e soprusi, sequestri e ricatti consumati nella migliore tradizione della mafia nigeriana, considerata dagli esperti la più potente e pericolosa al mondo.
Leggi anche: Immigrazione, "toglietela subito": la legge passata nel silenzio che dà il via all'invasione
AGGRAVANTE MAFIOSA
L'altro ieri al Tribunale di Bari sono fioccate le condanne: 23 imputati, tutti ospiti del Cara fino a un anno prima degli arresti (dicembre 2019), sono stati chiamati a scontare pene che vanno da un massimo di 19 anni e 6 mesi a un minimo di 5 anni e 8 mesi di reclusione. Le condanne più elevate sono state inflitte ai due presunti capi dei rispettivi gruppi, il 32enne Osas O Ighoruty e il 26enne Gbidi Trinity. I giudici del Tribunale di Bari hanno riconosciuto per tutti l'aggravante del metodo mafioso. L'indagine della squadra mobile di Bari, coordinata dalle ex pm Antimafia Simona Filoni e Lidia Giorgio e poi dalla collega Daniela Chimienti, partirono nel 2016 dalla denuncia anonima di alcune presunte vittime, accertando che lo sfruttamento della prostituzione sarebbe stato la principale attività di arricchimento dei due clan, sulla base della regola delle 'tre d', donne-denaro-droga, con le donne costrette a sottomettersi con violenza fisica e psicologica, in quanto considerate 'oggetti fabbricasoldi'. Stessa violenza sarebbe stata riservata ai mendicanti, costretti a pagare il pizzo sull'elemosina per garantirsi una postazione davanti ai supermercati di Bari e provincia.
RITI D'INIZIAZIONE
Per arruolarsi nelle gang, organizzate come «sette segrete dalla struttura militare e dalla inaudita ferocia», gli aspiranti adepti - così hanno documentato gli investigatori -, dovevano sottoporsi a «prove di coraggio» con le mani legate e incappucciati, picchiati dagli affiliati anziani e, nell'atto di giurare, «costretti a bere una bevanda composta da sangue umano e alcol quale segno di fedeltà sino alla morte», con punizioni corporali nei confronti di chi rifiutava di affiliarsi o di pagare la retta di appartenenza e di prostituirsi. Secondo la Direzione investigativa antimafia, che da tempo segue il fenomeno, la mafia nigeriana va alimentando un mercato della schiavitù che nel nostro Paese rende centinaia di milioni di euro all'anno, con un sistema rodato, come quello del Cara di Bari. Da qui infatti i componenti delle due gang si muovevano per tessere la propria tela criminosa. Al mattino costringevano gli ospiti a lasciare il centro di accoglienza dello Stato, per prendere posizione nei punti strategici identificati dall'organizzazione che li sfruttava. Si tratta di soggetti "fragili", in debito nei confronti dell'organizzazione criminale nigeriana, che in genere è legata ai gruppi operanti in Nigeria e che gestiscono il traffico illecito di esseri umani attraverso la Libia e il Mediterraneo. Ricatti. Gli stessi con cui tenevano in schiavitù le connazionali vittime di tratta e costrette a prostituirsi.
Leggi anche: Cozzolino del Pd: "Tunisini europei come noi". Susanna Ceccardi lo inchioda: "Ma come si fa?"
RUOLI E REGOLE
Nell'arco della complessa indagine, durata quasi tre anni, entrambe le compagini, Vikings e Eiye, si sono connotate per la solidità del vincolo associativo, la programmazione di reati di varia natura e per un capillare e costante controllo da parte dei "capi" per il rispetto dei ruoli e delle regole, con l'applicazione di cruenti metodi punitivi ogni qualvolta si rendesse necessario per ristabilire gli equilibri compromessi. I dati pian piano acquisiti alle indagini si sono dimostrati perfettamente sovrapponibili agli esiti investigativi che, nel frattempo, molte altre Squadre Mobili in Italia hanno sviluppato in quel periodo, a conferma del fatto che la mafia nigeriana si è radicata i molte zone del territorio nazionale (dal Veneto alla Sicilia, dal Piemonte alla Campania, dalle Marche alla Puglia) con numerosi insediamenti di cellule, tutte votate a perseguire i medesimi obiettivi delinquenziali e tutte operanti secondo le classiche metodologie mafiose improntate alla violenza, all'assoggettamento e all'omertà. Cellule radicate ovunque, centri di accoglienza inclusi.