Lontani

Gasperini e Atalanta, cosa c'è davvero dietro l'addio

Alessandro Dell'Orto

 Gian Piero Gasperini è un genio del calcio e, come tutti i geni, ha un carattere - per dirla con un eufemismo - non facile. Burbero, diretto, scomodo, scontroso e permaloso, è odiato dagli avversari e spesso mal sopportato anche dai suoi, che siano giocatori o dirigenti. Però fa divertire, fa guadagnare e fa vincere (certo, l’Atalanta ha conquistato un solo trofeo ma, in 118 anni di vita, non era mai arrivata a livelli così alti in campionato e in Europa): ecco perché gli si perdona molto, ecco perché il suo rapporto con il club nerazzurro dura da nove anni, che in questo mondo del pallone sempre più frenetico e schizofrenico sono un record.

Gasp ha portato Bergamo nell’élite del football tra imprese storiche e partite epiche, ma anche litigi, polemiche, battibecchi (l’ultimo con Lookman dopo l’eliminazione in Champions), messaggi criptici, frecciatine e scontri che alla lunga, poco alla volta, hanno logorato i rapporti con la famiglia Percassi. E ora non c’è da stupirsi per l’annuncio del divorzio, che a Bergamo si aspettavano in molti e che lui stesso ieri ha comunicato alla vigilia della sfida di Empoli: «Come hanno detto in tanti, c’è un inizio e una fine per tutto: sicuramente non ci sarà continuità, non ci saranno ulteriori rinnovi del mio contratto, a fine stagione vedremo se portarlo a scadenza (2026, anche se c’è un’opzione a favore del club per una stagione ndr) oppure interrompere». Già, questa volta non si torna indietro, difficile- se non impossibile- pensare a una ricucitura.

 

PLUSVALENZE E AMBIZIONI

L’Atalanta ha sempre riconosciuto al suo allenatore lo straordinario talento nel proporre un football moderno e innovativo valorizzando i giocatori, e la storia delle campagne acquisti e cessioni di queste stagioni parla chiaro: calciatori normali comprati a poco o niente sono diventati fenomeni e, dopo essere stati venduti a prezzi da fenomeno, lontano dal tocco magico del tecnico sono tornati normali. Da Caldara a Gagliardini, da Gosens a Hojlund fino al più recente Koopmeiners, l’era Gasperini ha fruttato al club plusvalenze da mezzo miliardo e per questo motivo la proprietà, nei momenti di tensione, ha sempre spalleggiato il mister e non i suoi campioni (il litigio con Papu Gomez, per esempio). Ora, però, qualcosa si è rotto, soprattutto nella programmazione. Tradotto, l’impressione è che le ambizioni del tecnico non siano più in sintonia con quella società, che non intende perdere di vista i conti.

Lo ha spiegato ieri lo stesso Gasp: «A giugno, dopo aver vinto l’Europa League, pensavo: se l’obiettivo è sempre cercare di stupire, come daremmo emozioni ancora più grandi? Andando in Champions? Lo abbiamo già fatto più volte: sarebbe un traguardo fantastico, per me lo sarebbe anche solo arrivare in Europa, ma la gente non andrebbe di nuovo per strada per questo. Per natura non mi guardo mai dietro: per quello si fa sempre in tempo. Oggi guardo alla prima squadra che ci sta davanti, l’Inter a tre punti, non a chi è dietro ed è a 5 punti». Sì, la parola non detta è “scudetto”. Per puntare sempre più in alto, però, al tecnico non bastano più giovani promettenti da crescere e poi rivendere, ora vorrebbe giocatori già pronti, esperti e di alto livello per vincere subito. Un cambio di progettazione che però la società - che fuori dal campo non ha mai lasciato carta bianca al tecnico, anzi - non condivide, evidentemente, e i recenti acquisti di gennaio lo confermano (Maldini).

Ecco perché, a questo punto, il divorzio appare inevitabile e va bene a tutti: al club, forse stufo di dover gestire un rapporto così complicato, e al tecnico, che a 67 anni potrà giocarsi altrove (Juve? Napoli?) le ultime possibilità in carriera di vincere il campionato.
Sempre che, in queste rimanenti 13 partite, l’Atalanta e il suo geniale allenatore non sorprendano ancora tutti: lo scudetto, quello sì, rimetterebbe tutto in discussione.