Sfide
Milan, Paulo Fonseca rischia tutto: in campo i baby, la resa dei conti
C’è la torta, con tanto di invitati. Probabilmente oltre 70 mila per festeggiare i 125 anni del Milan che per l’occasione vestirà una meravigliosa maglia celebrativa, priva di sponsor e nomi dietro la schiena. E poi le tantissime leggende che hanno scritto la storia del club e che stasera sfileranno sul terreno di San Siro: Van Basten, Inzaghi, Gullit, Rijkaard, Pato, Seedorf e tantissimi altri. È tutto bellissimo, eppure come nelle migliori famiglie c’è qualcosa che c’entra poco con questo clima di festa, il parente che ha qualche rimostranza impellente da esporre e che non può proprio aspettare un momento migliore per esprimere il proprio dissenso.
Paulo Fonseca è così, la comunicazione del tecnico rossonero è coerente, da inizio anno ha scelto una strada e la persegue. Il tecnico rossonero non copre i peccati dei suoi calciatori ma li espone al pubblico ricavandone una spaccatura netta all’interno del milanismo: con Fonseca o contro Fonseca, lo scisma è chiarissimo. C’è chi apprezza la schiettezza del portoghese ritenendola necessaria in questo particolare periodo storico in cui la società appare un po’ arrangiata, priva di riferimenti e corazza; ma c’è anche chi invece ne detesta i modi, probabilmente intuendone le insidie. Qualche calciatore non si impegna perché Fonseca parla in questo modo, o Fonseca parla così perché qualche calciatore non si impegna? Siamo di fronte al dilemma dell’uovo e della gallina, con tifosi che lo elevano a paladino e altri che invece lo riconoscono come il principale colpevole del rendimento discontinuo della squadra.
Volando al di sopra di torti o ragioni, è un po’ come se Fonseca stesse svolgendo il doppio ruolo di allenatore e direttore sportivo, con il via libera di una società che però non è ben chiaro da quale parte sia schierata. È un po’ come se Fonseca certe licenze se le sia assegnate senza il consenso di un superiore, forse nel momento in cui “il capo” avrebbe dovuto essere accanto a lui e non c’è stato, generando, chissà, un senso di solitudine che in qualche modo l’allenatore ha voluto combattere per non uscirne distrutto. Di fatto la società in certi momenti ha preferito non far sentire la propria voce: si è scelto per esempio di smorzare i toni quando Theo e Leao non si sono presentati al cooling break e attorno a lui hanno preso le distanze dopo il famoso sfogo contro gli arbitri. Poi la conferenza post Stella Rossa e quella di ieri, in cui Fonseca ha confermato che non è disposto a chiudere un occhio: «Quando sono arrivato c’erano 3 capitani, Calabria, Theo e Leao, se avessi cambiato il capitano mi avreste ammazzato. Allora ho deciso di dare fiducia al capitano che abbiamo, poi se sono d’accordo è un’altra cosa. Continuo a rispettare la gerarchia».
Intanto contro il Genoa pare che Theo Hernandez possa finire in panchina, al suo posto dovrebbe giocare Jiménez, mentre a centrocampo potrebbe avere una chance il giovane Liberali (2007). Nel giorno in cui il Milan festeggia i 125 anni, la fascia da capitano finirà sul braccio di Leao, chi l’avrebbe mai detto un mese fa? E allora forse Fonseca non è uno che serba rancore ma un allenatore che chiede rispetto per i propri principi.