Tempo di bilanci
Jannik Sinner, il momento più buio: "Non potevo parlare con nessuno. Djokovic mi ha fatto bene"
“È stato un periodo duro. Non potevo parlarne con nessuno, non potevo sfogarmi o chiedere aiuto. Tutte le persone che mi conoscevano e mi guardavano giocare capivano che c’era qualcosa che non andava in me. Ho passato notti insonni, perché anche se sei certo della tua innocenza, sai anche che queste cose sono complesse. Tutti hanno detto subito la verità e questo mi ha permesso di giocare”. Si è aperto del tutto Jannik Sinner nell’intervista con Esquire Australia, parlando dell’unico neo di un 2024 straordinario, relativo al caso Clostebol. A Wimbledon “ero pallido e anche dopo il mio sentimento verso le persone era di paura — ha aggiunto — Sono andato ad allenarmi alla clubhouse di Cincinnati e ho pensato: ‘Come mi guardano? Cosa pensano veramente di me?’. Lì ho capito chi sono i miei veri amici“.
Poi una parola sui suoi miglioramenti, che lo hanno portato a vincere otto titoli in stagione: “Sono cresciuto tantissimo quest’anno, sia fisicamente che mentalmente — ha detto ancora Sinner — I risultati che vedete ora non sono improvvisi. Sono frutto del duro lavoro che abbiamo svolto negli ultimi due anni. Sono figlio di uno chef e so che non si inizia a cucinare un buon piatto in pochi minuti. Si studia, si capisce, si prova e si riprova, poi il piatto finale sarà buono. Ho imparato la tattica. È importante perché può permetterti di aggiustare una partita che non sta andando bene”. Quando Simone Vagnozzi è arrivato nel team di Sinner “mi ha dato 7/8 informazioni a partita, sinceramente non ci capivo niente — ha detto ancora l’altoatesino — Quando mi disse di fare uno slice non sapevo come farlo, quindi abbiamo fatto tanti cambiamenti. Simone è bravo perché parliamo molto e non mi impone regole”.
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Se il 2024 è stato straordinario, e il tennis è stato importante, “non ho trascorso abbastanza tempo con le persone che amo — ha detto ancora Sinner — Devo trovare il tempo per questo, perché alcune cose passano e non tornano più. Credo davvero che non ci sia denaro che possa sostituire l’essere in salute e il vivere la propria vita circondati dalle persone che si amano”. Poi un passaggio sugli aspetti in cui può ancora migliorare e su due avversari che lo hanno aiutato a crescere: “Nella finale dello US Open non ho servito bene, può succedere, ma è un colpo per cui c’è molto spazio per crescere — ha detto ancora — Sono convinto che una giornata storta può sempre capitare. Il mio stile è tra il solido e l’aggressivo, faccio più fatica in difesa e infatti cerco di non andarci. Il mio tennis è versatile, ma ancora non so giocare molto bene a rete. Un giocatore che mi ha fatto crescere tanto è Medvedev. Non avevo mai fatto un serve and volley e lui mi ha costretto ad allenarmi in quello per cercare di batterlo. La mia opinione è che o si vince o si impara. Perdere spesso anche contro Novak Djokovic mi ha insegnato molto. Fa bene ti sveglia”.
Jannik ha poi provato a spiegare come riesce a mantenere la calma in campo: “Accettando me stesso — ha concluso — Sono maturato, mi capisco di più. Può sembrare banale, ma conoscere sé stessi è fondamentale. Ci ho lavorato molto con lo psicologo sportivo Riccardo Ceccarelli. A volte perdevo le partite perché sprecavo troppe energie, sono iniziati i crampi e il disagio. Ma quando ho iniziato ad ammettere di aver sbagliato, ho fatto piccoli passi in avanti”.