caso-Clostebol
Jannik Sinner, l'affondo di lady anti-doping: "Ecco perché esiste la Wada"
Si torna a parlare del caso Clostebol che ha travolto Jannik Sinner. Un dibattito che si è riaperto con la positività e la sospensione di Iga Swiatek dopo un controllo. A riguardo, oltre al capo della Wada, ha detto la sua anche la direttrice dell'antidoping italiana Alessia Di Gianfrancesco. Quest'ultima è intervenuta per ricordare che "alcuni valori soglia per determinate sostanze già esistono. Bisogna capire quale sia la situazione nei vari Paesi ed eventualmente fare una valutazione per omogenizzare. La WADA ha le competenze per sapere come intervenire, certe valutazioni vanno fatte anche in virtù di quelli che sono i prodotti disponibili".
Insomma, in un'intervista riportata dalla Gazzetta dello Sport, Di Gianfrancesco tiene a precisare che "le contaminazioni sono solitamente molto legate agli integratori più che al contatto. Questo perché gli integratori non sono soggetti a verifiche stringenti come i farmaci e la composizione rischia di non corrispondere esattamente al contenuto. Il discorso soglia potrebbe avere senso, anche se qui in Italia anche il Clostebol può essere autorizzato per uso terapeutico".
E ancora: "La WADA è stata istituita proprio per armonizzare. Sono state armonizzate tante procedure, ma il giudizio ancora no. Su questo va assolutamente aperto un tavolo. Senza uniformità l’organizzazione antidoping continuerà a essere in difficoltà, perché senza procedure armonizzate è complesso tutelare l’atleta, il sistema e ovviamente lo sport pulito. Se in Italia decidiamo in un modo e altrove in un altro emerge un giudizio personalizzato con una gradazione della colpa che dipende dall’interpretazione. Solo la WADA può e deve risolvere questa situazione".