L'intervista
Atalanta, Glenn Stromberg avvisa l'Inter: "La Dea sembra Attila, è da scudetto"
Glenn Stromberg non ha mai dimenticato Bergamo. E Bergamo non ha mai scordato di avere ammirato un giocatore così totale in quell’Atalanta che divertiva parecchio negli anni ’80. I 19 gol in 219 presenze con la maglia nerazzurra lo fanno essere icona del club ma anche ideale analista di questa moderna Atalanta che semina paura in tutti i campi sui quali si presenta. Paura: usa proprio questa parola Stromberg, oggi opinionista perla tv svedese SVT e per Viaplay.
Glenn, lei è stato un grande interprete del calcio alla bergamasca. Stupito di quello che sta combinando l’attuale Dea?
«No: questa Atalanta crea panico quando la si deve affrontare. E non solo in Italia».
Anche in Champions sta lasciando segni indelebili?
«Dove passa, per dirla alla Attila, non cresce più l’erba.
Nel senso che fa paura ovunque».
Il 6-1 maturato a Berna è un minaccioso messaggio per tutti?
«Certo. Negli anni scorsi c’era l’Atalanta delle imprese: blitz a Liverpool e vittorie contro le grandi, poi capitava il passo falso con le piccole. Ora non più».
Fare 6 gol, seppur contro lo Young Boys, è sinonimo di top team?
«Sì, e di maturità perché si dà continuità ai risultati».
Ok, la Dea è diventata una big, ma quando?
«Vincendo l’Europa League ha raggiunto un grado di sicurezza nei propri mezzi che prima era solo abbozzato. I tre gol di Lookman in quella finale sono un timbro, un modo per affermare: siamo qui, siamo grandi, possiamo vincere contro tutti».
Quindi la Dea può far suo, ad esempio, lo scudetto in Italia?
«Gasperini afferma che la squadra sta vivendo un buon momento, io dico che l’Inter è la favorita ma può capitare l’anno in cui le favorite inciampano. Lo insegna la storia».
Faccia qualche esempio.
«Nel 1991 giocavo a Bergamo e lo scudetto non lo vinsero Milan, Juventus o Napoli. Venne fuori la Sampdoria che, da anni, era lì pronta a fare il colpaccio. Aveva già arraffato Coppa Italia e Coppa delle Coppe e sapeva vincere».
Come questa Atalanta?
«Sì, il giochino lo fate voi giornalisti dicendo che è da scudetto. Ma la realtà suggerisce che può accadere».
Il miracolo ha un nome e un cognome: Gian Piero Gasperini?
«Naturale che tutto sia riconducibile a un tecnico che comanda il gioco e, soprattutto, i calciatori. Ma partirei dal club».
Ovvero?
«Giorni fa ero a Zingonia e quando mi hanno mostrato i nuovi campi, la foresteria, gli spogliatoi degni di un Real Madrid o di un City, del mitologico settore giovanile già sapevo e così mi sono chiesto: caspita, ma questi stanno facendo proprio le cose alla perfezione? Poi ho visto il nuovo stadio e mi sono risposto: sì».
Torniamo al Gasp?
«Lui ha avuto, e ha, la forza di cambiare interpreti senza modificare la sceneggiatura del film che sta girando. Il suo gioco è apprezzato in tutta Europa».
Guardiola disse: giocare contro l’Atalanta è come andare dal dentista.
«Non per una semplice otturazione, aggiungo, ma per subire una dolorosa operazione».
E qui torna il concetto della paura?
«Esatto. Gli altri non sanno cosa fare contro la marcatura a uomo, il pressing furioso, le aggressioni continue e un attacco che snocciola gol a ripetizione».
A proposito di attacco: due parole su Retegui?
«Rappresenta il centravanti moderno che segna a raffica ma gioca anche per la squadra. Visto il secondo gol a Berna? L’Italia di Spalletti ha un tipo che vi farà divertire, là davanti».
L’altra sera un certo De Ketelaere ha nuovamente dimostrato che al Milan hanno preso una bella topica nel giubilarlo.
«Al Milan attendevano tutto e subito da lui. A Bergamo, grazie al Gasp, ha trovato l’ambiente giusto ed è tornato il talento che vedevamo in Belgio».
A proposito di talenti, Zaniolo?
«Mi auguro faccia come De Ketelaere. Se la qualità c’è, è impossibile dilapidarla».
Il bello è che, a fine anno, comunque vadano le cose i Percassi venderanno Lookman per una cifra pazzesca e pescheranno, alla metà, un giocatore simile. Questo il segreto di tutto?
«Sì. Lo dice la storia recente, quanti big sono stati venduti a cifre esorbitanti? Se Lookman andrà via per 60-70 milioni, ne arriverà uno bravo per 30».
Della sua Atalanta quale flash si porta dietro?
«La semifinale-beffa di Coppa delle Coppe nel 1988 contro il Malines: la mia Atalanta veniva dalla B e sfiorò quell’impresa poi realizzata 35 anni dopo. Perdemmo ma in città c’era stesso una gioia che ho ritrovato oggi».
Poche settimane fa è mancato un suo maestro di calcio: Sven Goran Eriksson. Come lo ricorda?
«Se oggi sono l’uomo che sono, lo devo a lui».
Dall’Italia cosa si porta dietro?
«Moltissimo. Anche il cibo visto che gestisco un’azienda che produce e vende in Europa spaghetti, salami e altre leccornie del vostro paese».
Chiudo rifacendole la stessa domanda di qualche riga fa: questo sarà davvero l’anno dell’Atalanta tricolore?
«Insiste, eh? Resto un fan della Dea e lo spero, lo sogno. I sogni non son desideri che, a volte, si avverano?».