Nervi che saltano
Lele Adani strepita contro Libero per un articolo sgradito
Poniamo che io sia un alieno e che dunque non sappia cos’è il calcio. Ne seguirebbe che ignorerei l’esistenza di Lele Adani. Sulla base di queste premesse - prestiamoci ancora un poco al teatro dell’assurdo - potrei decidere di leggere l’articolo firmato ieri su Libero da Claudio Savelli per scoprire qualcosa sul pallone e su questo Adani. Scoprirei che questo Adani urla parecchio e si piace altrettanto: la mia, a differenza di quella garbata di Savelli, è una sintesi pacchiana e volgare.
Il punto, però, è che non sono un alieno, conosco il «futbol», conosco Lele Adani e già sapevo che urla parecchio e si piace altrettanto. Confesso: la mia sull’Adani seconda voce in telecronaca è un’opinione negativa, ma questo interessa zero e poi non lo saprei scrivere con la competenza con cui ne ha scritto Claudio (che conosco poco, leggo molto e dunque stimo). E allora perché sono qui a sprecare tempo e inchiostro?
Ecco, vi devo una spiegazione. Tarda mattinata di ieri, 11,45 circa, nebbia fitta e (finalmente!) freddo becco a Milano, prima riunione di redazione del sabato, e per ragioni misteriose (forse perché è sabato e di sabato è tutto più leggero) la riunione del sabato mattina è spesso divertente e divertita. A rendere il contesto ancor più ilare ecco irrompere le osservazioni mosse da Adani a Savelli: il sunto è che non aveva gradito il pezzo e lo aveva fatto sapere all’estensore con alcuni messaggini per certo non contraddistinti dal garbo con cui il collega faceva sapere di non aver gradito il commento di Belgio-Italia. In riunione abbiamo parlato della residuale vicenda, ci siamo figurati mister «viva el futbol» incazzato nero e quella proiezione ci ha fatto ridere di gusto. Suvvia Lele, «viva el futbol» e «viva la libertad». E invece no.
I messaggini resteranno privati nella forma, giusto così, ma per onor di cronaca - alla fine è il nostro mestiere - ci permetteremo qualche incursione nella sostanza degli stessi: Libero è un giornalaccio (lo avevo già sentito, dunque evviva), qualche epiteto non poi così affabile, suggerimenti su cosa scrivere in un futuro prossimo sul nostro giornalaccio, altri epiteti ancor meno affettuosi. Poi, oh, vero: Italia-Belgio ha registrato ascolti grandiosi su Rai 1. Meglio anche di Sinner in onda su Rai 2! E magari gran parte del merito è proprio di Lele Adani, della sua «revolución», del verbo sparviero che si abbatte sul sepolcro imbiancato di Viale Mazzini, lo scuote, lo ripulisce, rimodella e rilancia.
E però, allora, se Daniele detto Lele viaggia col vento in poppa di un successo così cristallino, perché tanto risentimento? Anche nei sondaggi di AnnoZero c’era uno zero-virgola che difendeva Berlusconi, eppure Santoro non umiliava quella riserva indiana. Qualche povero pazzo che non vede il giusto e sottovaluta il meglio ci sarà sempre: lasciamolo vivere! Ecco, tra un messaggino incazzoso e una risata nella nebbia ci sembrava cosa buona e giusta recapitare, pur con la dovuta umiltà, questo residuale messaggino a sua maestà «viva el futbol».
Ma i poveri pazzi, in quanto tali, perseverano, soli e isolati, ridicoli e donchisciotteschi. Dunque io, che di capacità ne ho poche e di dignità chissà, ripeto di non voler mettere becco sulle modalità del suo racconto. Rilancio, da megalomane zoppicante vado oltre: metto becco sul personaggio, macrocategoria di telecronisti e seconde voci. Lo faccio premettendo che di sport ne ho visto e ascoltato parecchio. La seconda voce che più mi ha fatto volare, ieri e per sempre, è stata quella di Federico Buffa applicata al basket. Voce che, ammettiamolo, col passare del tempo è divenuta ipertrofica: Buffa fa un passo di lato e cerca nuove avventure. L’ipertrofia di Fabio Caressa è in stallo dai mondiali del 2006, «andiamo a Berlino, Beppe!»: è “troppo” da 18 anni ma è ferma lì, compiaciuta e cazzeggiante, prendere o lasciare, non cresce più e per me, magari sbaglio, non sente il bisogno di mandare messaggini. Poi c’erano Rino Tommasi e Gianni Clerici, forse gli assoluti fuoriclasse nella disciplina della voce applicata allo sport. E infatti il loro fu un processo – unico- per sottrazione: più diventavano grandi nel raccontare il tennis meno parlavano. Poi c’è l’ipertrofia del nostro Adani, fenomeno nuovo non solo perché fa più share di Amadeus a Sanremo (pare), ma perché a differenza degli altri che abbiamo citato non scorgiamo ancora il punto di arrivo (questo afferisce al personaggio, non al commentatore). Forse un po’ troppo, ma per carità, ogni esplorazione è del tutto legittima.
Una postilla. Non solo l’ego, ma anche la verbosità può suscitare disappunto. Prendiamo Bianco Rosso e Verdone, prendiamo Furio, l’icastico personaggio interpretato da Carlo Verdone. «Pronto, parlo col servizio percorribilità strade? Ah, buongiorno! Senta, io sono un socio ACI, numero di tessera 917655 barra UT, come Udine-Torino; la disturbavo per avere qualche delucidazione dato che mi devo recare a Roma a votare» ed eccetera eccetera. Troppe parole. Ve la ricordate la risposta del «servizio percorribilità strade» prima di riappendere? Ecco, prendere nota.